Ho partecipato all’Open Summit di Startupitalia e ho riassunto il senso dell’evento in tre parole.
Come tanti, ieri ho partecipato all’Open Summit di Startupitalia, l’appuntamento che ha raccolto startupper, venture capitalist, grosse imprese del settore e giornalisti che si occupano di innovazione in un unico posto. Di racconti in rete ne leggerete tanti, tra gli entusiasti ed i polemici (anche se non riesco a capire come si possa criticare una cosa alla quale non si partecipa, per morettiana memoria), che vi diranno cosa si è fatto, quali startup hanno brillato e quali no. Io voglio solo esplicitare tre aspetti che mi sono rimasti addosso e che hanno in parte segnato anche il mio 2015.
MOTIVAZIONE.
Una costante dell’anno appena trascorso, per me e per tanti altri. È stato un incontro molto “motivational”, partendo dalla corsa per la sala di Riccardo Luna passando per i messaggi positivi che si sono succeduti sul palco, come ad esempio la storia di Federico Marchetti e della sua Yoox o ancora di più la scarica di adrenalina dei Rockin1000 di Fabio Zaccagnini e i trionfi di Flavia Pennetta.
Attenzione ad una distinzione: l’essere positivi rispetto a qualcosa non vuol dire non parlare dei problemi che ci sono.
Marco Bicocchi Pichi, ad esempio, ha ricordato quanto siamo indietro rispetto al resto d’Europa per fondi investiti in startup, e nei molti workshop si è sottolineato come tanto si deve ancora fare nell’emisfero innovazione in Italia. Si è abbandonata però la retorica della lamentazione, dell’Italia abbandonata a se stessa, delle imprese stritolate e della convegnistica sindacale/associazionista/categorista che vede le imprese contrapposte allo Stato, inteso come entità mangiasoldi.
I ragazzi mostravano tutta la loro voglia di fare, sul palco i relatori dicevano cosa abbiamo fatto in questo anno e cosa resta da fare, senza nascondersi: l’obiettivo però era quello di incontrarci in un posto fisico, dirci in faccia e senza fronzoli cosa stiamo facendo e dove vogliamo andare. Ha dato la spinta per affrontare l’anno che ci aspetta, un 2016 che si prospetta come l’anno della conferma per tutto l’ecosistema.
NETWORKING.
Probabilmente la cosa più importante che le startup e i tanti partecipanti si porteranno dietro da questa manifestazione (se hanno saputo farlo bene). Sin da subito è stata chiaro qual era lo spirito della manifestazione: spostare in un luogo fisico quello che finora era un ebook. Nessun pitch, niente stand, solo uno spazio in cui incontrarsi e scambiarsi impressioni, opinioni, prendere un caffè insieme o semplicemente informarsi su come va il lavoro.
Durante tutto il Summit, nella sala principale, la zona dedicata al networking era frequentatissima: ragazzi che illustravano la propria idea agli investitori, startup che si confrontavano su possibili partnership o che si scambiavano la loro opinione su come andare sul mercato, aziende che si informavano su come la specifica startup poteva trovare una soluzione ai loro problemi. È stato un flusso ininterrotto di persone, grazie anche alla piattaforma iiMerge che ha fatto da partner alla manifestazione e attraverso la quale molti startupper hanno avuto modo di vedere chi partecipava alla giornata e quando era possibile fare una chiacchierata. E poi, i social: bastava un tweet per dire “Noo, anche tu qui? Ci prendiamo un caffè insieme!” per potere incontrare persone che finora si conoscevano solo tramite social network e rendere reali e tangibili la stima finora trasmessa solo tramite like e condivisioni.
GARRA.
I sudamericani la chiamano garra, e già nel termine, dalla forza di questa parola, traspare tutto il suo significato.
La garra charrua, che in Europa conosciamo semplicemente come garra, è un termine calcistico. Sta a sottolineare quella voglia di non mollare mai, di dare tutto quello che abbiamo per raggiungere l’obiettivo prefissati.
Il termine nasce da una tribù di indios, i Charrua appunto, che si opposero con tutte le loro forze al colonialismo spagnolo: da lì è stato affibbiato a quella grande nazionale, l’Uruguay degli anni ’50, che grazie alla propria voglia di vincere, alla propria fame di vittorie, riuscì anche a sconfiggere i brasiliani nel famoso Maracanazo (ma questa, come direbbe Federico Buffa, è un’altra storia). Il Palazzo del Ghiaccio, le parole dei dieci finalisti, di Riccardo Luna, i volti degli startupper, erano permeati da questa garra: noi ci siamo, noi non molliamo di un centimetro, noi non siamo solo la retorica della narrazione di come sia bello fare impresa innovativa. Perché all’Open Summit c’era quel popolo che macina chilometri, sputa sangue e cerca clienti, fa di tutto per far sì che il proprio prodotto possa crescere. Sangue e cuore, narrazione e talento. E tanta, tanta garra.