A Londra, fra pochi giorni, il mondo dell’innovazione a sfondo sociale si riunirà per aiutare i rifugiati. L’iniziativa si chiama Techfugees. Fra gli organizzatori, Mike Butcher di Techcrunch
Succede che, a furia di parlare di soldi, di investimenti, di exit e di quotazioni in Borsa, si finisce per pensare al settore tecnologia come a qualcosa che ruota solo ed esclusivamente attorno al denaro.
Può capitare. Succede però anche che purtroppo – e per fortuna – una qualche emergenza spinga chi ci lavora a dare il meglio di sé, facendo recuperare per un attimo lo spirito degli esordi, quando si pensava che davvero la tecnologia potesse servire a cambiare il mondo, e non solo a riempire il portafogli di qualche investitore.
È in questo clima che è nata l’iniziativa di TechFugees un hackaton e una conferenza che avranno luogo a Londra questo giovedì e venerdì 1 e 2 ottobre. Quarantott’ore dense dense, in cui si cercheranno di sviluppare soluzioni per aiutare le persone che fuggono dalla fame, dalla disperazione, dalla guerra, e cercano rifugio in Europa.
Dietro c’è Mike Butcher, editor di Techcrunch, assieme ad una serie di altri personaggi molto noti, operanti per lo più nel settore delle startup per il no-profit. Di certo un’iniziativa nobile; l’auspicio è che non rimanga, come accaduto ad altri eventi simili, qualcosa di fine a sé stesso, ma che possa portare l’imprenditoria innovativa a sfondo sociale a fare il salto di qualità che attende da tempo.
“Noi abbiamo faticato negli ultimi tre anni – racconta a StartupItalia! Josephine Goube di Migreat, un servizio online, con sede nella capitale britannica, che aiuta chi emigra a trovare lavoro – a coinvolgere il mondo della tecnologia e delle startup riguardo al tema dell’immigrazione, perché è percepito come carico di implicazioni politiche e poco redditizio”.
“Tuttavia – continua – da quando è stata pubblicata l’immagine del bambino morto, siamo stati inondati di email di ‘techies’ che volevano unirsi alla nostra società, e la reazione complessiva della comunità di startupper di Londra è stata fantastica”.
A Techfugees Migreat sarà presente per dare il suo contributo, assieme a molte altre startup da tempo impegnate a utilizzare la tecnologia per il bene comune, e a qualche investitore, come Gi Fernando, di Founders For Good, Paul Miller, di BethnalGreenventures e Debu Purkayastha, dell’organizzazione umanitaria Mercy Corps.
Le startup già impegnate per i rifugiati
Fra le altre società che hanno già fatto parlare molto, e bene, di sè presenti alla conferenza, ci saranno quelli di Startup Boat, non è un prodotto vero e proprio, ma un network di persone di buona volontà di diversa estrazione che periodicamente si riuniscono per risolvere specifici problemi dei migranti; gli ideatori di Refugees On Rails, una scuola di programmazione per rifugiati, con sede a Berlino; gli ungheresi di #charity, una piattaforma che mette in contatto ingegneri e sviluppatori che intendono donare il proprio tempo libero per una buona causa, con Ong che non potrebbero permettersi manodopera digitale pagata.
“Questa crisi dei rifugiati – spiega Franziska Becker, di #charity – è la più grande nel suo genere dai tempi della Seconda Guerra Mondiale, con più di 300.000 persone che hanno cercato asilo solo nella prima metà del 2015″. Trecentomila persone sono già tantissime, e molte altre ne arriveranno. Cosa può fare davvero la il settore tech per i rifugiati e anche per i Paesi che si trovano a dover cercare di gestire nel miglior modo possibile quest’immensa marea umana?
“La tecnologia – dice Becker – ha la possibilità di raggiungere persone in modo incrementale, venendo incontro allo stesso tempo ai bisogni particolari dei diversi individui. Ed è proprio quello che serve in questo momento. Altrimenti, come abbiamo visto nel caso di altri aiuti umanitari in passato, potrebbe essere difficile venire incontro ai bisogni delle persone in maniera tale da non causare degli effetti collaterali indesiderati”.
Le idee non mancano: c’è chi sta promuovendo su Kickstarter il progetto di un Airbnb per rifugiati, chi, come Duolingo, propone corsi di tedesco per chi proviene dai paesi arabi. RefugeesMap, in maniera simile a quanto già fatto in passato da Ushaidi, cerca di localizzare le situazioni di emergenza e inserirle su di una mappa usando il crowdsourcing. Progetti diversi, accomunati da un unico scopo: rendere il mondo un posto migliore. O perlomeno, un po’ meno brutto.