In queste ore non c’è associazione di riferimento che, calcolatrice alla mano, non provi a dare una risposta a un quesito fondamentale: quanto peseranno i dazi di Donald Trump sul made in Italy? I numeri al momento non tornano ma sono comunque tutti accomunati dal fotografare una situazione grigissima, tendente al nero.
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Quanto incideranno i dazi sul made in Italy?
Unimpresa vaticina perdite per le imprese italiane a 6,5-7,5 miliardi di euro dai quasi 10 miliardi stimati inizialmente, tenendo in considerazione le esenzioni su alcuni prodotti, come quelli farmaceutici, le specialità chimiche ed alcuni beni ad alta tecnologia.
Il calcolo è effettuato tenendo conto di un export complessivo verso gli USA pari a circa 66-70 miliardi di euro e di una esposizione effettiva delle imprese italiane a 45-50 miliardi di euro. «Il dazio al 15% non è una buona notizia, ma non è uno shock sistemico – resta ottimista il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora – le imprese italiane dispongono di tempo, strumenti e mercati alternativi per assorbire e redistribuire il costo della nuova politica commerciale americana».

«In termini macro – prosegue il numero 1 di Unimpresa – gli effetti sul PIL italiano appaiono gestibili e probabilmente inferiori a mezzo punto cumulato nel medio periodo, con una traiettoria che dipenderà dalle esenzioni finali, dalla capacità di riposizionamento settoriale e dalle misure di supporto europee e nazionali. L’accordo è un compromesso che riduce il rischio di guerra commerciale e consente alle imprese italiane di affrontare l’impatto con strumenti e margini di manovra adeguati» conclude Spadafora.

Nel 2024 l’export italiano verso gli Stati Uniti, calcolano da Unimpresa, è stato fra 66 e 70 miliardi di euro (70,2 miliardi di dollari). Assumendo come base 66‑70 miliardi di euro, un dazio “piatto” del 15% implicherebbe un onere lordo teorico di 9,9‑10,5 miliardi di euro. Questa è però una stima di primo giro: va ridotta in funzione delle esenzioni settoriali che il testo finale del deal elencherà, della capacità delle imprese di assorbire una quota del dazio nei margini, del potere di prezzo nelle nicchie premium e dell’eventuale parziale rilocalizzazione produttiva negli USA (greenfield, M&A, contratti di subfornitura locale) per mitigare l’effetto tariffario.
Decisamente più pessimista il calcolo uscito dai pallottolieri di Via dell’Astronomia. Per Emanuele Orsini, Presidente di Confindustria, che ha ricordato il valore del 15% sull’export in 22,6 miliardi, l’impatto dei dazi sulle importazioni di beni europei in USA andrà ben oltre quel valore dovendo aggiungere all’equazione anche l’impatto dell’apprezzamento dell’euro contro il dollaro.
I dazi spaventano i viticoltori
Come anticipato ieri da StartupItalia, c’è apprensione nel comparto dei vini. “Con i dazi al 15% il bicchiere rimarrà mezzo vuoto per almeno l’80% del vino italiano. Il danno che stimiamo per le nostre imprese è di circa 317 milioni di euro cumulati nei prossimi 12 mesi”, afferma Lamberto Frescobaldi, presidente di Unione italiana vini (UIV), aggiungendo che “il danno salirebbe a 460 milioni di euro qualora il dollaro dovesse mantenere l’attuale livello di svalutazione”. “Facciamo sin d’ora appello al governo italiano e all’Ue per considerare adeguate misure per salvaguardare un settore che grazie al buyer statunitense era cresciuto molto”, conclude.