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Quanto inquinano i Bitcoin? O meglio, quanto pesa – dal punto di vista energetico e ambientale – sfornare la più celebre delle criptovalute? Il cosiddetto “mining”, cioè la risoluzione dei operazioni crittografiche con cui lo stesso registro aperto della blockchain si compone, certificando i passaggi di denaro, e che ricompensano chi mette a disposizione la potenza di calcolo con l’accredito di Bitcoin, è un’operazione dispendiosa. Secondo Motherboard, che ha effettuato del calcoli sulla base dei dati raccolti dall’analista Alex de Vries, per ogni transazione vengono consumati 215 kilowatt/ora. Basti pensare che una famiglia statunitense ne consuma 900 al mese. Più o meno con un passaggio di criptovaluta si potrebbe riscaldare e alimentare una casa per una settimana. Abbastanza raggelante.

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300mila transazioni al giorno

Di transazioni in Bitcoin ne avvengono circa 300mila al giorno, l’equivalente del consumo elettrico annuo di un Paese come la Nigeria. Questo dà un quadro chiaro che porta il conto totale del fabbisogno a 24 terawatt/ora all’anno. Il punto, sostiene però chi supporta questa valuta alternativa e digitale, è che anche la produzione di moneta tradizionale consuma energia. Anche se, stando almeno alle fonti ufficiali, sfornare una banconota da un dollaro costa 5,4 centesimi. In Europa la moneta da 2 euro costa 25 centesimi. Il paragone, insomma, sembrerebbe improponibile se non allargando l’analisi al mondo della finanza in genere.

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La quotazione

Sembrerebbe una polemica trascurabile ma occorre ricordare gli ultimi sviluppi che riguardano la criptovaluta per capire che non lo sono. Mentre il Giappone ha deciso di autorizzare gli scambi la quotazione ha sfiorato quota 8.000 dollari e alcuni gruppi finanziari si fanno sempre più interessati, offrendo futures, contratti a termine standardizzati per poter essere negoziati facilmente in una borsa valori, sui Bitcoin.

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Il commento

Più, però, il successo dei Bitcoin monta più i problemi si fanno complicati: “Più il bitcoin diventa utile come strumento di scambio, più costoso è il suo mantenimento e energivora la sua gestione – ha scritto Izabella Kaminska sul Financial Timesè una situazione imbarazzante per gli investitori, che oggi sono sempre più attenti alle implicazioni ambientali, sociali e di corporate governance delle loro decisioni. Se al consumo di elettricità si uniscono i timori di alcuni sulla opacità della governance del bitcoin, sul potenziale utilizzo per cyber crimini o operazioni sul mercato nero, ecco che dal punto di vista di chi vuole fare investimenti responsabili le criptovalute possono suscitare perplessità”.