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Di Depop se ne parla da alcuni anni. Si tratta dell’applicazione di social shopping basata un po’ sul principio dei “garage sale” all’americana ma lanciatasi molto oltre. Insomma, moda di seconda mano ma anche brand indipendenti, il tutto in un’ottica social secondo la quale i venditori si possono seguire o, se si diventa tali, si può essere seguiti. Mezzo eBay alla prima maniera, mezzo Instagram, mezzo forum di discussione sui temi fashion da cui, chissà, far germogliare nuove tendenze.

Se ne parla da tanto perché Depop è stata fondata nel lontano 2011 dall’italiano (nonostante il nome) Simon Beckerman (nella foto sotto, interverrà allo StartupItalia Open Summit il 12 giugno alle 11.10 intervistato da Marco Montemagno) ad H-Farm, l’incubatore di enorme successo fondato da Roberto Donadon a Roncade, Treviso. Tra i primi a credere nella startup c’è stato il team di Nana Bianca che insieme ad H-Farm ha investito in Depop nella primissima fase.  Proprio H-Farm ha siglato una exit dalla piattaforma lo scorso gennaio, quando ha ceduto la sua partecipazione residua all’app, che conta oggi 18 milioni di utenti nel mondo, 5 dei quali negli Stati Uniti. Quella cessione ha generato un incasso di quasi 2,6 milioni di euro e una plusvalenza di 2,5. Il disimpegno seguiva una prima cessione parziale di quote avvenuta a gennaio 2018: l’operazione nel complesso ha generato un ritorno pari a sei volte l’investimento iniziale. Questo solo per dire delle potenzialità di Depop.

Il maxiround da General Atlantic

Negli anni l’e-commerce ha cambiato letteralmente pelle e si è progressivamente ibridato alle logiche social. Depop, in questo senso, ci era arrivato ben prima con la formula giusta e ogni ingrediente bilanciato: social, acquisti, “usato”, low cost e mode. Non a caso ha appena annunciato di aver concluso un mostruoso round di finanziamento di Serie C: 62 milioni di dollari portati in gran parte da General Atlantic. Insieme al colosso di equity newyorkese hanno partecipato anche altre sigle già coinvolte come HV Holtzbrinck Ventures, Balderton Capital, Creandum, Octopus Ventures, TempoCap e Sebastian Siemiatkowski, fondatore e Ceo della fintech svedese Klarna. Il round si aggiunge ad altri 40 milioni già raccolti in precedenza. Risale a poco più di un anno fa il round da 20 milioni di dollari guidato da Octopus Ventures (ne avevamo parlato qui).

 

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Secondo le intenzioni, i nuovi fondi verranno usati fondamentalmente in due direzioni. Anzitutto, per continuare a migliorare le tecnologie a disposizione della startup che ha ora sede a Londra. Algoritmi di riconoscimento di abiti e accessori, ma anche di outfit, così come sistemi di curatela e raccomandazione. In seconda battuta, il gruppo guidato dal 2016 dalla spagnola Maria Raga (già in Groupon e Privalia) bisognerà crescere negli Usa: dovranno arrivare almeno 15 milioni di utenti entro il prossimo triennio.

La concorrenza, come fa notare anche TechCrunch in un lungo approfondimento dedicato alla startup di Beckermann, è importante: si va da piattaforme di vendita come Vinted a Poshmark fino ai colossi come PinterestInstagram sui quali ormai si può serenamente fare shopping in un paio di tocchi e senza uscire dall’ecosistema. Eppure il margine esiste: stando a un recente rapporto di un altro concorrente, ThredUp, negli Usa il mercato dovrebbe valere ben 51 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni, dai 24 attuali. Occupando una significativa fetta del 10% del mercato retail.

La penetrazione fra le generazioni più giovani

L’aspetto interessante, che ovviamente rende Depop una creatura dal futuro promettente per quanto evidentemente nelle mire di alcuni giganti, è la sua penetrazione nel mercato dei Millennials e della Generazione Z, insomma nelle due generazioni più giovani e “native digitali”. Qualche numero: il 90% degli utenti attivi ha meno di 26 anni e nel mercato-chiave, quello britannico, un terzo dei 16-24enni è registrato all’applicazione.

Le ambizioni sono enormi, fiorite nei lunghi anni di crescita: “La nostra missione è ridefinire l’industria della moda nello stesso modo in cui Spotify l’ha fatto nella musica o Airbnb nell’ospitalità” ha spiegato Raga (nella foto sotto). Dalla sostenibilità alla modalità in cui si configurano i trend fino all’invasività delle microtransazioni, ci sono molti elementi che i colossi del fashion non hanno ancora colto, dice la Ceo: “Si può iniziare un business nella moda dalla propria cameretta” ha aggiunto, cavalcando le piattaforme social più usate o altre dedicate come Depop. E in effetti non mancano i casi di influencer che proprio così hanno fatto.

Stando ai numeri, la piattaforma racconta che l’utente medio apre l’app “diverse volte al giorno” sia per cercare abiti, capire cosa acquistano gli altri, messaggiarsi fra contatti, commentare gli oggetti e ovviamente vendere e comprare (500 milioni di dollari di vendite dal lancio, da cui Depop trattiene il 10%). Per esempio, gli utenti si messaggiano e seguono reciprocamente 85 milioni di volte al mese.

L’evoluzione e i punti da migliorare

Se prima l’approccio era appunto quello del mercatino delle pulci digitale, negli anni la piattaforma è diventata lo scrigno di chi va in cerca di collezioni limitate (acquistate da altri e rivendute), prodotti particolari, oggetti introvabili magari usati (ma poco) o più spesso nuovi di zecca. Dalle scarpe alle t-shirt fino alle capsule collection. I top seller – si paga solo via PayPal – ci fanno anche 100mila dollari all’anno. E non mancano i negozi fisici, dove sono in mostra gli oggetti più ghiotti e ambiti.

Molti sono gli aspetti da sviluppare o migliorare: spedizioni, pagamenti, individuazione e rimozione delle merci contraffatte in vendita, tassazione tutti fronti sui cui i nuovi fondi andranno a finire. “La tecnologia continua a trasformare il panorama del commercio e siamo molto felici di investire in Depop – ha concluso Melis Kahya di General Atlantic – in breve tempo il team ha costruito una piattaforma differenziata e rilevante su scala globale per la nuvoa generaizone di imprenditori e consumatori”.