L’annuncio via social network di Mark Zuckerberg. Eppure gli aspiranti al ruolo di “censore” potrebbero essere meno del previsto perché il lavoro comporta forte stress emotivo
Facebook apre alle assunzioni. Ma ad essere richiesti questa volta non sono web designer o programmatori informatici: servono censori, ossia persone che valutino i contenuti social più condivisi e discutibili, e all’occorrenza cancellino quelli che hanno infranto determinati parametri.
“Nel corso del prossimo anno aggiungeremo 3mila persone al nostro team di Community Operations in tutto il mondo – oltre alle 4.500 che abbiamo già oggi – per verificare e controllare i milioni di segnalazioni che riceviamo ogni settimana”, ad annunciarlo direttamente dalla propria pagina di profilo è lo stesso CEO del social network più famoso al mondo, Mark Zuckerberg. È questa la risposta del colosso americano alle polemiche sorte dopo il caso di Steve Stephens, il 37 enne di Cleveland responsabile dell’omicidio a sangue freddo di un uomo in diretta Live.
Nel suo post, datato lo scorso 3 maggio, Zuckerberg parla specificamente di “proteggere la comunità” e di “persone fanno del male a se stesse o ad altri” approfittando della grande notorietà che può offrire una diretta live su Facebook. Ma in futuro lo stesso ragionamento potrebbe essere applicato anche a siti e a profili che diffondono fake news.
Lati negativi e precedenti
Eppure, nonostante la bontà dell’iniziativa, i candidati per questi 3mila posti potrebbero essere davvero pochi. Tutta colpa di un lavoro che mette a dura prova la salute psicofisica dei dipendenti e che può causare un forte stress. Ogni giorno, infatti, un censore può essere chiamato a dover visionare diversi video riguardanti abusi sessuali su minori, torture e bestialità di ogni tipo e morti. Contenuti che espongono i dipendenti a traumi irreversibili. E che rischiano di trasformarsi in fonte di dispendiose cause legali per l’azienda.
Ad ammonire il social network è l’avvocato Ben Wells, legale specializzato in “danni personali” che lo scorso gennaio ha rappresentato due dipendenti Microsoft, di professione “censori”, in causa contro l’azienda. Henry Soto e Greg Blauert hanno citato in giudizio il colosso americano accusandolo di aver causato loro un PTSD, disturbo post traumatico da stress, senza aver provveduto a un adeguato supporto psicologico. A riprova del fatto che certi lavori, per quanto ben pagati e in società prestigiose, semplicemente non sono sopportabili.
Per il momento Facebook non ha ancora specificato in quali Paesi avverrà il reclutamento e quale genere di contratto verrà proposto agli aspiranti censori (una collaborazione occasionale potrebbe, ad esempio, implicare minori tutele), si è limitata ad garantire la massima assistenza ai propri dipendenti attraverso un programma apposito di supporto, un rinnovo continuo dei team di lavoro e algoritmi capaci di bloccare automaticamente i contenuti contrari ai loro standard, evitando così l’esposizione delle risorse umane e rinnovando spesso i team di lavoro.