Storia di iWaboo, startup milanese volata in Silicon Valley dopo la selezione di 500 Startups. L’avventura in Italia del founder, prima della scelta di trasferirsi
E’ una delle startup italiane emergenti nella Silicon Valley. Fondata a Milano nel 2012 da Ivan Marandola, IWaboo è stata una delle società più applaudite al recente Demo Day di 500 Startups, l’acceleratore e fondo d’investimento con sedi a San Francisco e Mountain View. Un successo che ora sta sfruttando per il round di finanziamenti appena aperto, con l’obbiettivo di raccogliere 1,6 milioni di dollari, dopo i 500 mila gia’ in cassa.
Ora iWaboo sta organizzando il proprio lancio su scala globale. Nei tre anni dalla sua nascita ne ha gia’ fatta di strada: il suo volume d’affari è cresciuto del 100% l’anno ed è arrivato a 1,5 milioni di dollari di fatturato.
Che cosa fa? Si definisce la Etsy dei produttori indipendenti di elettronica di consumo. Ovvero è una piattaforma di crowdsourcing che aiuta gli inventori a trasformare le loro idee in prodotti e a portarli poi concretamente sul mercato. E’ qualcosa in più, insomma, di una Kickstarter o Indiegogo. “Pochi sanno che il 75% dei progetti di prodotti tecnologici che hanno successo su Kickstarter poi non ce la fanno ad arrivare davvero sul mercato”, spiega Marandola.
You make it, We sell it. Cosa hanno fatto finora
Il suo motto è “You make it. We sell it”, “Tu lo fai, Noi lo vendiamo”. L’ultimo prodotto lanciato con l’aiuto di iWaboo è il “non-telefonino” per bambini creato dalla startup newyorkese Toymail: un apparecchio che permette ai bambini di comunicare, con gli amici e i genitori, in modo sicuro e alternativo al normale smartphone.
Altri esempi: il “Made in Italy 3.0” di Wood’d, che fa a mano accessori di legno; gli speaker e le lampade IoT della milanese Digital Habits); le custodie per iPhone stile coltellino svizzero della californiana in1case.
La delusione con i fondi e i venture italiani, poi arriva 500 Startups
“Dopo tante delusioni con fondi, acceleratori, venture capitalist, private equity italiani, mi sono bastate due skype call con 500 Startups per essere accettato nella Silicon Valley”, racconta Marandola, 38 anni appena compiuti. Nato in Zambia (il papa’ è un diplomatico), laureato nel 2000 all’Università di Trieste in Scienze diplomatiche e business internazionale, aveva cominciato a lavorare a Roma come analista per JPMorgan Chase.
Poi, dopo un corso executive di business ad Harvard, si è tuffato nel biotech. “Sono stato uno dei pionieri del DTC (Direct-to-Consumer) Genomics in Europa per otto anni – racconta -. Immaginate la mia eccitazione quando ho incontrato per caso, facendo la spesa, Anne Wojcicki, la ex moglie del co-fondatore di Google Sergey Brin, fondatrice e ceo della startup di genomica personale 23andMe. Suo figlio era caduto inciampando nel mio carrello e io l’avevo aiutato: il giorno dopo mi sono ritrovato nell’ufficio di Anne a parlare di DNA e di Next Generation Sequencing!”.
Dove l’idea vale di più del fatturato, senza malvagi meccanismi di equity
Nella Silicon Valley tutto è più semplice e la diversità con l’ecosistema delle startup italiane è enorme, secondo Marandola. “Qui l’idea vale dieci volte più di un file excel – spiega -. Il tuo team, background e motivazione sono più importanti della classica e svilente domanda quanto fatturate ad oggi?. Basta una mail e ti rispondono tutti entro 24 ore, anche i più famosi venture capitalist: la chiamano cortesia. E qui non si applica il malvagio meccanismo dell’equity a tutti i costi e delle maggioranze staliniste che inchiodano ogni futuribile investitore che arriverà dopo. Funziona invece anche il collaborativo sistema delle Convertibile Notes”.
Anche per questo Marandola sta pensando di trasferire la sede principale di iWaboo da Milano alla Silicon Valley, in Mountain View.