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Prima di creare l’acceleratore fintech Supernovae Labs, Carlo Giugovaz ha lavorato una vita nelle banche che ora prova a innovare dall’esterno. Unicredit, Intesa Sanpaolo, e prima ancora le consulenze via Coopers&Lybrand e McKinsey: «Operativamente sono passato in una trentina di banche diverse e le posso dire una cosa: gli innovatori dentro le banche soffrono, perché non si possono fare le cose, non sono proprio messi in condizione di farle». Il paradosso è che ora che sta presentando le prime 18 startup dell’acceleratore che ha fatto partire nell’autunno 2016, le stesse banche lo accolgono a braccia aperte. «Sono le due facce della medaglia, si sono svegliate, sono interessate all’innovazione. All’interno non riescono a svilupparla, perché hanno poche persone in grado di comprenderla, le medio-piccole a stento hanno una figura dedicata all’innovazione e gli stessi sistemi informatici sui quali si reggono sono costosi e obsoleti, architetture vecchie che assorbono risorse e impediscono di fare cose nuove».

Fintech italiano: piccolo e troppe copie

«E’ qui che entra in gioco la proposta di open innovation di Supernovae Labs». L’acceleratore ha sede a Milano, cinque punti operativi in Europa, uno negli Stati Uniti e uno in Medio Oriente. Il primo passo è stato creare un portafoglio di startup: al momento sono 18, il 60% italiane. «Abbiamo fatto uno studio. Nel fintech ci sono circa 80 micro settori, dal robot advisory ai prestiti peer to peer. Noi vogliamo coprirne almeno la metà con una startup, quindi l’idea è di arrivare a breve a 40». Il processo di selezione è stato snello e interessante, per Giugovaz, un misto di networking personale, autocandidature (su LinkedIn, dove ha 26mila contatti ed è un vero e proprio influencer, gliene sono arrivate un centinaio) e scouting, attraverso il quale ha potuto anche farsi un’idea di come sta il fintech italiano oggi. «Non male, è molto piccolo, secondo EFMA in Europa ci sono 10mila startup fintech, in Italia solo 120, mi sembrano pochine, ma non sono male, anche considerando il terreno difficile dove vanno a operare. L’unico difetto è che vedo tanti casi metoo», dove «metoo» sta per «anche io», perché sono copie, rifacimenti di altre aziende internazionali.

Le 18 startup di Supernovae Labs

«La prima cosa che offriamo alle startup è il marketing, vendere il loro prodotto al posto loro. Per loro le banche sono ostiche, a volte non riescono nemmeno a capire con chi andare a parlare. Poi le aiutiamo a raccogliere capitale, anche se non escludo in futuro investimenti diretti, per ora siamo troppo piccoli per farlo», spiega Giugovaz. Tra le 18 startup di Supernovae Labs, c’è Deus Technology, «un’azienda strutturata, con anni di esperienza nel mondo del software della finanza». Deus ha sviluppato un motore di robot advisory per permettere alle banche di offrire un servizio in più ai propri clienti: «È pensato per quella fascia di risparmiatori, con cifre da 5mila ai 50mila euro da investire, che le banche non riescono a seguire con un promotore». Supernovae ha anche una startup che si occupa di chatbot, BotSupply: «Un bot efficiente fa crescere parecchio il livello di servizio per il cliente, che senza perdere tempo al call center o andare in filiale riesce ad avere così il 99% delle risposte di cui ha bisogno». Le 18 startup di Supernovae Labs coprono altrettanti ambiti del fintech, dal «semplice» marketing digitale a blockchain e criptovalute: «La cosa da capire è che banche diverse hanno esigenze diverse. Ad esempio, ai piccoli e medi istituti il digitale permette di uscire dai propri confini, possono specializzarsi in servizi di nicchia ed essere verticali, così da non essere più solo vincolati al territorio». A proposito di uscire dai confini, tra gli obiettivi dei sette punti operativi nel mondo c’è sia quello di portare clienti internazionali alle startup italiane che attirare startup internazionali in Italia.