Intervista al founder di Fabtotum Marco Rizzuto (31) che racconta il retroscena dell’exit e perché Zucchetti ha dimostrato di essere l’investitore perfetto
«Forse l’hai sentito dire in giro che alcuni dei nostri backers erano preoccupati nelle scorse settimane per il ritardo di alcune consegne. Noi ci siamo scusati dicendo che c’era un’importante novità in arrivo. Bene, eccola». La novità di cui parla Marco Rizzuto, 31 anni, founder di Fabtotum, è che il gruppo Zucchetti si è comprata il 51% della startup che produce stampanti 3D per 1,5 milioni. L’accordo è stato firmato la scorsa settimana e sia i founder (l’altro è Giovanni Grieco, 31) hanno scelto di vendere per tornare a fare innovazione nel mondo della stampa 3D. «Era quello che più ci mancava. Fabtotum è cresciuta ma gestire un’azienda che produce una stampante con 600 pezzi che arrivano da 70 fornitori in tutto il mondo è davvero troppo complesso». Loro manterranno ruoli chiave nell’azienda e torneranno a fare quello che gli riesce meglio: progettare stampanti 3D come quella che gli ha fatto chiudere una campagna di crowdfunding da 586mila dollari su Indiegogo nel 2014. Zucchetti, azienda leader nel software in Italia, si aprirà ad un nuovo mercato grazie alla startup nata sui banchi del Politecnico di Milano e darà supporto logistico e know how nella gestione dei fornitori e della supply chain. Un accordo che soddisfa entrambe le parti.
Perché avete deciso di vendere la metà di Fabtotum?
Per noi è stato ideale vendere ora. Abbiamo bisogno di crescere e per farlo ci serve qualcuno che sappia come portare avanti il lavoro con i fornitori, la produzione, i clienti. Noi siamo più bravi nella ricerca e nello sviluppo della nostra tecnologia. Ma produrre qualcosa come una stampante 3D è complicatissimo e davvero l’offerta di un gruppo come Zucchetti era ideale. Dal software stanno spaziando a campi com IOT e hardware. E ora stampanti 3D.
Perché Zucchetti ha scelto voi secondo te?
Perché abbiamo un progetto già industriale e una macchina pronta per essere prodotta in serie. Sulle stampanti 3D non c’è un mercato di massa, ma noi e Zucchetti pensiamo che succederà e quando succederà vogliamo essere pronti. Credo che loro hanno trovato in noi quello che altre società che producono stampanti 3D non hanno fatto.
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Continuerete a dirigere voi Fabtotum?
Il nostro ruolo non cambierà, non è nel DNA delle acquisizioni fatte da Zucchetti dove non ha mai sconvolto il board o fare “coup de état” (ride, ndr)
Avete mai provato a chiudere round di investimento dei venture?
Guarda vengo da un anno in cui ho girato dalla Silicon Valley a Londra per discutere con dei venture. La risposta è sempre stata: bello ma siete troppo piccoli. E non parlo di piccoli personaggi, ma di profili che leggi sul Financial Times. Questo atteggiamento non c’è stato da parte di Zucchetti. Alla fine noi più che soldi avevamo bisogno di smart money. Investimenti sì, ma che potessero aiutarci anche nella produzione del nostro prodotto. E Zucchetti si è dimostrato molto meglio di tanti Vc.
SmartMoney invece che round di investimento. E’ quello che serve a chi fa hardware?
Rispetto alla startup classica, hardware is hard. Non c’è un giorno che non torno a casa e non penso: cavolo sarebbe stato molto più facile con il software! E’ questo genere di investimenti che servono. La nostra stampante ha circa 600 pezzi fatti da 70 fornitori nel mondo. Dal punto di vista gestione logistica è difficile. Zucchetti ci aiuterà in questo. Noi siamo permeabili ad una contaminazione corporate. Vogliamo strutturarci. Zucchetti fa 500 milioni di fatturato e qualcosa ci insegnerà.
Voi quanto fatturate?
L’ultimo bilancio relativo al 2014 è di 1 milione circa.
La vostra campagna di crowdfunding è stata piuttosto chiacchierata. Molti nell’ambiente makers dicevano che siete stati troppo ambiziosi e che Fabtotum rischiava di diventare un clamoroso buco nell’acqua.
Guarda, il crowdfunding per noi è stato un bellissimo male necessario. Bellissimo perché è stato entusiasmante vedere gli ordini crescere a quella velocità. Un grande stress dal punto di vista societario, perché è qualcosa davvero di disumano. Ma necessario perché altrimenti non avremmo mai potuto produrre quel prodotto con quelle qualità e con quella risonanza anche mediatica. Il passo è stato piuttoststo lungo, ma ce l’abbiamo fatta. Ora con l’exit a Zucchetti si chiude un primo capitolo e se ne apre uno nuovo. Il nostro futuro è assicurato.