La stampa e il mondo degli adulti li dipingono spesso come scansafatiche e fannulloni. In realtà il quadro sui cosiddetti Neet (Not in Education, Employment, or Training), acronimo che indica le persone tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non studiano, è diverso: secondo il rapporto “Lost in transition” pubblicato dal Consiglio Nazionale Giovani, in realtà 7 su 10 lavorano, ma in nero, con un picco del 90% di lavoro irregolare nelle città.
Quanti sono i Neet in Italia
Secondo le stime stiamo parlando di 2,1 milioni di giovani (oltre il 16% contro una media europea dell’11%). In base all’indagine del Consiglio Nazionale Giovani, quasi il 50% dei Neet che abita nelle aree metropolitane dichiara di essere indipendente dal punto di vista economico, mentre chi vive nelle aree interne e periferiche tende a dipendere di più dalla famiglia.
Spiegare un fenomeno sociale di questo tipo è complesso, soprattutto perché le ragioni sono tante. Per quanto riguarda la formazione, una fetta di Neet desidera svolgere attività legate al proprio percorso di studio (42,6%) o apprendere un mestiere (37,8%). «Molti, comunque, non perseguono tali attività per scelta di un periodo “sabbatico” (33%%) o sfiducia nel trovare un percorso formativo (21,4%)», si legge nel report. C’è poi anche un tema di formazione e istruzione. Solo il 9,6% dei Neet che abita nelle aree rurali ha una laurea o un diploma accademico, contro il 65,3% nelle aree urbane.
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«L’ennesima dimostrazione di quanto non sia realistica la narrazione dei giovani choosy e di quanto siano estese la zona grigia di formazione non riconosciuta e quella di lavoro sommerso e in deroga – ha commentato Maria Cristina Pisani, presidente del Consiglio Nazionale Giovani -. Giovani che, peraltro, affrontano sfide uniche e variegate a seconda del loro contesto territoriale. È cruciale che le politiche pubbliche riconoscano queste differenze e adottino approcci personalizzati per supportare efficacemente i Neet e accompagnarli verso una formazione e un’occupazione di qualità».