Poter dire addio al lavoro e farlo prima ancora di avere anche solo un ciuffo di capelli bianchi sulla testa. In Italia fino a non troppi anni fa e per tutta la durata della Prima Repubblica, sia per una diversa aspettativa di vita sia per motivazioni di tipo politico, era possibile. Sono i cosiddetti baby pensionati, coloro che favoriranno di più anni di pensione di quelli effettivamente in cui hanno lavorato, versando contributi.
Se a questo poi si aggiunge che sono tutte pensioni calcolate col metodo retributivo e non con quello contributivo (quindi sulla base dell’ultimo stipendio preso e non sui contributi versati) si capisce la profonda iniquità che oggi ha tutti i contorni di un privilegio assurdo e irrispettoso. E si intuisce il danno per i conti pubblici.
Quanti sono i baby pensionati?
Secondo gli ultimi calcoli dell’INPS, sono oltre 157 mila le persone che ricevono una pensione di vecchiaia (o anticipata) da almeno 40 anni, ovvero dal 1984 o persino dagli anni precedenti. In totale si tratta di un esercito da 95.045 unità per il settore privato e 62.034 per quello pubblico. Una ulteriore zavorra per i conti pubblici pari al totale degli abitanti di città di media grandezza come Perugia e Livorno.
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Qual è l’assegno medio dei baby pensionati?
Secondo l’Osservatorio sul settore privato le pensioni con decorrenza prima del 1980 sono 18.717, liquidate quando negli Stati Uniti era presidente Jimmy Carter e in Italia era stato eletto da poco Sandro Pertini. L’età media al momento della liquidazione delle pensioni attualmente ancora in essere con una decorrenza prima del 1980 è di 52,3 anni mentre l’assegno medio mensile è di 1.020 euro. Per il settore pubblico risultano attive da prima del 1980 ben 13.311 pensioni di vecchiaia con un assegno medio di 1.607 euro al mese.