In America dopo l’approvazione dei primi Exchange Traded Funds (ETF) in Bitcoin cambia tutto. Ma come funziona questa valuta virtuale nata col misterioso Satoshi Nakamoto? Nel longform ce lo spiega Loretta Napoleoni, una delle economiste italiane più note al mondo
A metà gennaio la tanto attesa approvazione dei primi Exchange Traded Funds (ETF) in Bitcoin da parte della Security and Exchange Commission americana (SEC) è finalmente arrivata. La battaglia è stata lunga, la SEC ha infatti più volte rifiutato di accettarli e la situazione è cambiata solo quando una sentenza del tribunale di Washington ha stabilito che tale rifiuto non aveva basi concrete. Molto di ciò che circonda i Bitcoin – e si badi bene: qui non si parla di criptovalute in generale, ma specificamente dei Bitcoin – purtroppo è ancora condizionato dall’ignoranza e dalla paura nei confronti della tecnologia che li produce. Il primo grosso errore che quasi tutti fanno è confondere i Bitcoin con le criptovalute: i primi sono un’alternativa solida al denaro quale strumento di scambio e riserva valore, le seconde no. Il motivo? Le cosiddette cripto non sono strutturate tecnologicamente come i Bitcoin.
Come e perché è nato il Bitcoin
Il Bitcoin nasce nel 2008 nel bel mezzo della più grande crisi finanziaria del secolo – il crollo della Lehman Brothers e la crisi del debito sovrano – quando la fiducia nei confronti del sistema finanziario tradizionale è ai minimi storici ed la sfiducia erode il valore delle monete. Nasce anche agli albori della rivoluzione tecnologica che permette al misterioso ed anonimo Satoshi Nakamoto di creare la prima vera alternativa digitale al denaro, che altro non è che l’espressione monetaria della digitalizzazione della società, processo inevitabile ed inarrestabile. Il Bitcoin e tutto ciò che ci sta dietro, in particolare la tecnologia delle Blockchain, si pone immediatamente in netta contrapposizione all’inefficienza e al pessimo funzionamento del sistema finanziario tradizionale. Il Bitcoin, quale alternativa al vecchio concetto di denaro cartaceo, un tempo ancorato all’oro e ormai obsoleto quale riserva di valore, è generato da un software open source che chiunque può scaricare ed è regolato da meccanismi digitali e algoritmi che lo proteggono dall’erosione di cui soffrono le monete tradizionali. I due più importanti sono l’algoritmo di difficoltà di estrazione (mining) e il cosiddetto processo di dimezzamento, halving, che periodicamente dimezza il numero di bitcoin per estrazione.
«Il Bitcoin e tutto ciò che ci sta dietro, in particolare la tecnologia delle Blockchain, si pone immediatamente in netta contrapposizione all’inefficienza e al pessimo funzionamento del sistema finanziario tradizionale»
Tutte le regole sui Bitcoin
Non solo il software è progettato per emettere un numero fisso di monete –21 milioni in totale nel prossimo secolo e mezzo – ma lo fa a una determinata velocità. Per comprendere questo concetto, consideriamo quest’ultimo come il battito cardiaco dei Bitcoin, che Nakamoto ha fissato a sette transazioni al secondo. Ciò significa che circa ogni dieci minuti viene aggiunto un nuovo blocco alla catena. Mantenere questo ritmo è vitale per assicurare la corretta scarsità del Bitcoin, cioè per evitare di inflazionarne il valore. Naturalmente il battito cardiaco dei Bitcoin è regolato dall’algoritmo della difficoltà. Il suo ruolo è quello di garantire che i minatori non producano blocchi troppo velocemente o troppo lentamente, il che ne diminuirebbe o aumenterebbe rispettivamente il valore. L’algoritmo agisce come un pacemaker: assicura che i nuovi blocchi vengano aggiunti alla velocità prevista, ovvero ogni dieci minuti. Se i blocchi sono estratti troppo velocemente, l’algoritmo aumenta automaticamente la difficoltà di estrazione, ovvero la formula matematica diventa più complessa, rendendola più difficile da risolvere. E se vengono aggiunti troppo lentamente, accade il contrario. La tecnologia, il software, è garante della scarsità, tiene l’inflazione sotto controllo e mantiene l’accesso gratuito a tutti. In aggiunta fa sì che tanti altri elementi, come per esempio la tracciabilità delle operazioni attraverso la blockchain, la legittimazione attraverso l’intera comunità dei Bitcoin (proof of work) non vengano alterati. Il dimezzamento del numero di Bitcoin per blocco è l’altro meccanismo che ne garantisce la scarsità. Per ogni 210.000 blocchi aggiunti la ricompensa dei minatori, ovvero il numero di Bitcoin, viene dimezzata. Attualmente ci vogliono circa quattro anni per estrarre così tanti blocchi, quindi il dimezzamento si è verificato a intervalli di circa quattro anni. L’ultimo e il terzo halving ha avuto luogo nel maggio 2020. Il prossimo è previsto nella primavera del 2024. L’effetto dimezzamento continuerà fino al rilascio di tutti i 21 milioni di Bitcoin, previsto per il 2140.
«Non esiste banca centrale, governo, organizzazione internazionale a capo di Bitcoin, ma un software e una tecnologia che ha permesso di programmarlo»
Disponibilità e scarsità del Bitcoin
E vediamo l’evoluzione dell’halving. Nel 2009 la ricompensa per ogni blocco estratto nella catena era di 50 bitcoin. Dopo il primo dimezzamento si è passati a 25, poi 12,5 e a 6,25 Bitcoin per blocco a partire dall’11 maggio 2020. Per capire il significato dell’halving immaginiamo che la quantità di oro estratto dalla Terra si dimezzasse ogni quattro anni. Se il valore dell’oro si basasse solo sulla sua scarsità, allora il dimezzamento della produzione di oro ad intervalli di quattro anni ne farebbe teoricamente salire il prezzo. Poiché il dimezzamento avviene in determinati momenti e comporta una diminuzione dei premi minerari, l’estrazione di nuovi Bitcoin diventa un’operazione sempre più costosa e, col passare del tempo, ogni Bitcoin diventerà sempre più prezioso a causa della scarsità. Questo principio è in netto contrasto con il funzionamento delle valute tradizionali come il dollaro statunitense o la sterlina britannica. Queste perdono invariabilmente il loro potere d’acquisto nel tempo a causa dell’inflazione. Ma non basta: non esiste banca centrale, governo, organizzazione internazionale a capo dei Bitcoin, ma un software e una tecnologia che ha permesso di programmarlo.
Gli ETF in Bitcoin. Cosa cambia?
Date queste premesse ci si rende conto perché la SEC ha tardato tanto ad approvare gli ETF in Bitcoin, che tra l’altro creano un mercato spot per la moneta digitale di Nakamoto. Gli EFT in Bitcoin sono fondi di investimento quotati in borsa che consentono agli investitori di acquisire un’esposizione ai Bitcoin senza possederli. A differenza delle criptovalute negoziate sulla piazza affari digitali, gli ETF sono acquistati e venduti sulle borse valori tradizionali, come quella di New York e il Nasdaq. In altre parole, il Bitcoin è trattato come qualsiasi azione o indice di borsa reale con tutti i vantaggi relativi. E vediamoli. Come le azioni della Apple o di Microsoft, gli ETF registrano variazioni di prezzo nel corso della giornata di negoziazione. Gli EFT sono poi composti da più asset, più di un fondo o indice, il che può aiutare nella gestione del rischio. Generalmente, gli ETF hanno commissioni inferiori rispetto ai fondi comuni di investimento, rendendoli un’opzione interessante per gli investitori attenti ai costi. Esistono molti tipi di ETF, che replicano vari indici, settori, materie prime e altro, soddisfacendo diverse strategie di investimento. Per ora esistono 10 ETF spot su Bitcoin approvati dalla SEC che si possono acquistare da sponsor che vanno da istituzioni finanziarie tradizionali come Fidelity e BlackRock a società più attive sul trading digitale tra cui Grayscale e Ark Invest. Ed ecco come funzionano gli ETF in Bitcoin. Un emittente di ETF, in genere una società di gestione patrimoniale, acquista il Bitcoin e lo conserva in modo sicuro presso un custode. Quindi emette azioni nel proprio fondo per fornire agli investitori l’accesso all’attività sottostante detenuta nel fondo. In cambio di una commissione annuale di gestione, l’istituto finanziario gestisce l’acquisto, lo stoccaggio e la custodia di Bitcoin per conto degli investitori dell’ETF. Tutto ciò significa che quando si investe in un ETF bitcoin, essenzialmente si acquistano azioni di un pool di Bitcoin. Questo processo prevede la creazione di nuove azioni ETF per soddisfare la domanda. Al contrario, quando invece si vendono le azioni, queste vengono riscattate, adeguando di fatto il numero totale di azioni dell’ETF in circolazione. Con gli ETF il Bitcoin è entrato nell’Olimpo della finanza tradizionale, viene però spontaneo domandarsi se Nakamoto avesse previsto che la moneta digitale di tutti diventasse parte del sistema tradizionale e così facendo iniziasse a cambiarlo. Una domanda alla quale sarà più facile rispondere a breve, ossia quando si verificherà il prossimo halving e il valore dei Bitcoin subirà un aggiustamento. Solo allora sapremo come ha reagito davvero il mercato.