Davide Faraone, sottosegretario all’Istruzione, racconta il suo viaggio nelle scuole finlandesi, dove si punta sulle competenze, sull’autonomia e sull’auto-responsabilizzazione dell’alunno. Pochi voti e interrogazioni perché “studenti e insegnanti non giocano a guardie e ladri”
Davide Faraone, sottosegretario all’Istruzione, Università e Ricerca, ha pubblicato un lungo post, in cui traccia un “diario di viaggio” dentro la scuola finlandese. Una scuola estremamente autonoma e innovativa, che pur essendo ai vertici dell’eccellenza mondiale, non smette di mettersi in discussione. Questo è l’aspetto che forse la rende così forte: la capacità di rinnovarsi in continuazione, di non sentirsi mai in una condizione “perfetta” o definitiva. La scuola finlandese è una scuola che punta molto sulle competenze e sul gioco, che negli ultimi tempi ha addirittura avviato sperimentazioni per eliminare la suddivisione delle singole materie e procedere con un insegnamento per macro-aree. Una scuola che è sempre aperta fino a sera, dove l’architettura è considerata funzionale all’apprendimento, che non si misura in voti e interrogazioni serrate, ma piuttosto si alimenta responsabilizzando i ragazzi e rendendoli sempre più autonomi. Di seguito il diario di viaggio dentro la “fabbrica dell’apprendimento”, come Davide Faraone l’ha definita.
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«Reduce da una full immersion in terra finlandese alla scoperta di un sistema di istruzione ritenuto eccellenza europea. Ritenuto a ragione eccellenza europea. Ho avuto modo di visitare istituti comprensivi e licei della città di Helsinki, ho avuto la possibilità di incontrare istituzioni e addetti ai lavori del mondo della scuola, all’Agenzia nazionale dell’Educazione, al Ministero della Cultura o in Parlamento. E una cosa è chiara: il sistema d’istruzione finlandese è un sistema realmente autonomo. E nonostante tutto è un sistema che si mette in continua discussione per migliorarsi sempre più, scomponendosi e ricomponendosi in nuovi equilibri.
I finlandesi sono abituati a pensare che non si sia mai arrivati a risultati definitivi, ma che ci si debba sempre pensare in maniera diversa.
Così come sono educati a pensare i singoli studenti. Attenzione: qui non si tratta di fare paragoni tra “noi” e “loro”, loro che “stanno avanti”, noi che “siamo lontani anni luce”. I due sistemi d’istruzione, quello finlandese e quello italiano, sono differenti come differenti sono le società e le culture che li hanno prodotti. Eppure la conoscenza genera arricchimento: vedere in profondità quel sistema ha confermato la “bontà” di alcune scelte fatte grazie alla legge 107/2015, ne ha ispirate delle altre, ha dimostrato come in alcuni campi – primo fra tutti quello dell’inclusione di alunni disabili e stranieri, a Helsinki esistono ancora classi e scuole speciali, purtroppo – il nostro Paese ha da insegnare a tutta l’Europa.
Puntare sulle competenze, tralasciando voti e interrogazioni
Vediamo in dettaglio. Le scuole finlandesi si preoccupano poco di compiti e interrogazioni. Hanno un solo obiettivo: sviluppare le competenze dei ragazzi, aiutarli a raggiungere i propri scopi. Sono rimasto molto colpito, durante l’incontro all’Agenzia nazionale dell’Educazione, nel vedere una slide con una cloud che riassumeva, per parole chiave, gli obiettivi che le scuole finlandesi si danno attraverso un curriculum nazionale che viene aggiornato ogni dieci anni.
Fiducia, responsabilità, consapevolezza di sé. Non solo competenze linguistiche o matematiche, niente che sia misurabile con voti da uno a dieci.
Nella scuola finlandese insegnanti e alunni non giocano a guardie e ladri. I ragazzi (e il loro futuro) stanno al centro. Il lavoro scolastico viene svolto per “problemi” e voti e verifiche arrivano solo alla fine di un periodo scolastico, i ragazzi non studiano per il voto sul registro e per la media sulla pagella. Questo non fa altro che rendere più autonomi i ragazzi. Al punto tale che dopo il percorso di studi del primo ciclo (nove anni) gli alunni possono scegliere il proprio curriculum, decidere di approfondire determinate discipline piuttosto che altre, in maniera orientata ma consapevole. Gli alunni costruiscono consapevolmente il proprio futuro. E questo li responsabilizza in un modo che la scuola italiana finora non è stata ancora in grado di fare. Ma i tempi stanno già cambiando.
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Una fabbrica di apprendimento, a partire dagli insegnanti
La scuola finlandese è una fabbrica di apprendimento plurale e a più livelli. Nella scuola imparano gli studenti ma anche gli insegnanti. Fondamentale nel sistema finlandese è la formazione iniziale dei docenti. Alla Viikki Teacher Training School ho visto ragazzi e ragazze affidati a tirocinanti dell’Università. Futuri insegnanti che imparano una professione praticandola direttamente. In assoluta sinergia tra scuola, università e mondo del lavoro. Una sorta di alternanza scuola-lavoro applicata all’insegnamento. Con effetti e ricadute straordinarie nel sistema di istruzione finlandese. Non compartimenti stagni che si incontrano solo se devono e in ritardo, con il risultato di una classe docente che spesso arriva in aula senza essersi mai confrontata in maniera diretta con il proprio lavoro o peggio avendolo fatto in modo precario e non verificato da alcuno.
Scuole aperte fino a sera e “architettura” scolastica
E gli istituti sono aperti sul serio e senza restrizioni di alcun tipo. Sono luoghi della cultura, non solo dell’istruzione. Porte spalancate (e senza vigilanti, custodi o chicchessia) fino alle dieci di sera, biblioteche gestite da bibliotecari professionisti, pareti e scaffali coperti da collezioni d’arte dei principali musei nazionali. Educare alla bellezza con la bellezza e nella bellezza. Non in scuole fatiscenti o indecorose.
Ma non solo per le condizioni degli edifici, ma anche per il valore centrale che si dà all’istituzione scolastica.
Un esempio della differenza di prospettiva? In Finlandia si parla di “architettura scolastica”, non di edilizia scolastica. Dietro una scuola un’idea ben precisa di scuola. Non luoghi di risulta da destinare all’uso. Gli istituti devono essere funzionali. I ragazzi devono sentirsi a casa, camminare a piedi scalzi – come ho visto a Helsinki – e lì imparare a conoscersi e a costruire con le competenze scoperte il proprio futuro. Con #labuonascuola noi abbiamo lavorato in questa direzione. Ma non siamo che all’inizio di un cambiamento che deve essere radicale per dare veramente frutti.
Ps: Mettere gli studenti al centro non vuol dire “viziarli” o agire sotto le loro pressioni o minacce. Anzi, tutto il contrario. Vuol dire agire per il loro bene, per renderli autonomi e capaci di gestirsi. Anche se forse in Finlandia esagerano un po’ sul tema: tutti gli alunni, soprattutto i più piccoli, svolgono attività all’aperto anche fino a 15 gradi sottozero».