La maggioranza degli adolescenti non riesce a distinguere le notizie vere dalle bufale o dalle pubblicità. E’ quanto è emerso dallo studio dell’Università di Stanford “Evaluating information: the cornerstone of civic online reasoning”
La foto di una margherita deforme appare nella home di Facebook: qualcuno ci ha scritto sopra “I fiori nucleari di Fukushima”. Basta questo, ad un adolescente, per credere che in Giappone crescano campi di fiori modificati. La velocità dello scroll non ammette dubbi, letture approfondite, verifiche. La foto è una prova sufficiente. L’Università di Stanford ha appena pubblicato uno studio – il più grande mai fatto sul tema – secondo il quale la maggior parte degli studenti non sa riconoscere una notizia vera da una falsa: l’82% dei ragazzi di scuola media non sarebbe capace di riconoscere un articolo pubblicitario nemmeno quando è presente la dicitura “contenuto sponsorizzato”.
Lo studio di Stanford
Lo studio è stato condotto nell’ultimo anno (da gennaio 2015 a giugno 2016) dal gruppo Stanford History Education. Sono state somministrate schede con 56 verifiche a studenti in 12 stati Usa dalle scuole medie all’università. In totale lo studio ha analizzato 7.804 risposte. Agli studenti sono state sottoposte varie tipologie di test a cui dovevano dare risposte aperte. Come test sono stati usati screenshot da pagine del sito slate.com, da Twitter, Facebook e altri media. Naturalmente ogni esercizio è stato adattato a seconda dell’età degli studenti: per esempio agli studenti delle medie è stato chiesto di identificare i contenuti pubblicitari in un sito web, ai liceali di riconoscere un account vero da un fake su Facebook, agli universitari di giudicare se un tweet può o non può essere una fonte affidabile di informazioni.
Riconoscere i contenuti sponsorizzati
Nel mondo dei media si è diffuso l’uso del cosiddetto “native advertising”, cioè dei contenuti sponsorizzati, che altro non sono che pubblicità “camuffate” da notizie e storie. Con le tecniche dello storytelling si costruisce ad arte una cornice, un racconto nel quale si promuove un determinato prodotto. Per un adolescente riconoscere il native advertising può essere difficile. Lo studio di Stanford ha chiesto ai ragazzi delle scuole medie di identificare, in un sito web, le notizie, le pubblicità esplicite e i contenuti sponsorizzati (o native).
Se in molti riuscivano a indicare con facilità notizie e pubblicità, in pochissimi hanno riconosciuto il native advertising.
Oltre l’80% degli studenti pensava che le storie fossero vere, nonostante avessero la dicitura “sponsored content”. Alcuni hanno perfino confermato di aver letto l’etichetta “sponsored”, ma nonostante questo continuavano a credere che fossero comunque attendibili: la prova che non avevano idea di che cosa significasse.
Giudicare le fonti
Come si comportano i ragazzi davanti a una foto su un social? Gli studiosi di Stanford hanno presentato in un test una foto che è stata diffusa su Facebook con delle margherite modificate, e la didascalia che le indicava come un risultato delle fuoriuscite nucleari della centrale di Fukushima. Il test questa volta si rivolgeva a studenti delle scuole superiori: alla domanda se quella foto fornisse “forti prove” delle reali condizioni naturali in prossimità della centrale di Fukushima, solo il 20% degli studenti ha dato una risposta scettica. Circa il 40%, invece, ha asserito che la foto offriva una prova attendibile in quanto immagine visiva. In altre parole, per i ragazzi, la foto, anche se priva di qualsiasi riferimento geografico e diffusa da un account sconosciuto su un social, era sufficiente a provare l’inquinamento.
Valutare il peso di un tweet
Twitter è un mare di informazioni. Può essere una fonte preziosa, come un distributore di falsità. Il test con Twitter è stato sottoposto agli studenti universitari che hanno dovuto valutare l’utilità come fonte di un tweet proveniente dall’organizzazione MoveOn.org che diffonde un sondaggio sul tema delle armi. Uno studente attento dovrebbe notare da una parte l’attendibilità di un sondaggio effettuato da una società professionista nel settore, dall’altra come un’organizzazione che spinge per un controllo più severo sul possesso delle armi come MoveOn.org possa aver manipolato il modo in cui i risultati del sondaggio vengono presentati. Secondo i risultati dello studio di Stanford, gli studenti hanno avuto forti difficoltà a valutare il tweet: solo in pochi hanno notato la fonte, cioè la società dei sondaggi, e meno di un terzo ha sottolineato le inclinazioni “politiche” di chi aveva scritto il tweet. La maggior parte ha scritto generiche considerazioni sul fatto che un sondaggio possa avere poco riscontro nella realtà, invece di concentrarsi nell’analisi degli attori coinvolti nel tweet.
La post-verità e la mancanza di strumenti per i più giovani
Sono nativi digitali, sono multitasking, e diffondono selfie su più social contemporaneamente, ma non sanno riconoscere una notizia da una bufala. Dalle pubblicità dei cosmetici camuffate da articoli, alle bufale montate dal blogger complottista di turno. Una valanga di informazioni gli passa davanti agli occhi ogni giorno e loro prendono tutto (o quasi) per buono. Si parla molto in questi giorni di “post-verità”, termine che l’Oxford Dictionaries ha eletto parola dell’anno 2016, per indicare una circostanza in cui l’opinione personale è più importante del fatto e in cui si è smesso di cercare e apprezzare la verità sopra ogni cosa. Dallo studio condotto dal prestigioso ateneo americano emerge un dato forse ancora più allarmante: se gli adulti hanno smesso di dare importanza alla verità i giovani troveranno sempre meno persone disposte a insegnare loro gli strumenti per difendersi dalle menzogne, per capire la differenza tra verità e pubblicità, tra opinione e fatto, tra informazione e propaganda.