Dall’università di Cambridge uno strumento per scoprire in tempo reale i costi ambientali di queste attività virtuali. Ma sono numeri reali o stime?
Quanto consuma “minare” bitcoin e certificare le transazioni e gli scambi? Di stime ne sono state fatte molte, negli ultimi anni. L’ultima, individuata da una ricerca dell’università di Cambridge, spiega che il dispendio energetico equivale più o meno a quello di un Paese come la Svizzera. Altre indagini avevano paragonato il consumo alla Giordania o ad altre nazioni.
Il nuovo strumento online
L’aspetto interessante, e la novità, è tuttavia un altro. Cioè il lancio di uno strumento online – si chiama Cambridge Bitcoin Electricity Consumption Index – utile a fornire in tempo reale una stima su quanta energia si stia consumando in tutto il mondo per fare “mining” di bitcoin e non solo, cioè in generale per mantenere l’intera infrastruttura. Al momento, il consumo è di oltre 7 GigaWatt e nel corso dell’anno sarebbe pari a circa 64 Terawattora, più o meno, più di quanto serva appunto a un posto come la Svizzera e poco meno della Colombia (68 TWh). Si è andati da record verso il basso di 2 GW a picchi di oltre 22.
Quanto pesano i bitcoin
Secondo questo calcolo, la produzione di Bitcoin peserebbe per circa lo 0,25% dell’intero consumo elettrico mondiale. Molto, certo, ma non quanto lasciavano immaginare le stime catastrofiche circolate negli scorsi anni. Ad esempio, tutta l’energia sprecata dai dispositivi tecnologici lasciati accesi o in stand-by negli Stati Uniti potrebbero alimentare il meccanismo della criptovaluta per quattro anni.
Leggi anche: Helperbit: la beneficenza passa anche dalle criptovalute. A prova di malfattore
Il picco dal 2016
Ciò che è interessante notare è al contrario la progressiva crescita del fabbisogno a partire dal gennaio 2016, con una clamorosa impennata intorno all’estate del 2017 e poi, ancora, all’inverno successivo. “I visitatori del sito possono decidere da soli se sia tanto o poco” ha spiegato Michel Rauchs, uno dei creatori del sito, alla Bbc News. Secondo il Cambridge Centre for Alternative Finance, che ha supervisionato il lavoro, “stime attendibili dell’uso dell’energia per il network dei Bitcoin sono rare: in molti casi forniscono solo una diapositiva istantanea e le cifre fornite mostrano discrepanze sostanziali fra un modello e l’altro”.
Ma mancano dati attendibili
Insomma, se ne parla molto ma nessuno ha i veri numeri per le mani. Ed è per questo che il nuovo strumento online include anche picchi verso l’alto e limiti minimi di consumo, per dare un’idea più completa del peso energetico della moneta digitale. La forchetta è spesso molto ampia, forse troppo, il che conferma appunto la difficoltà nell’acquisire informazioni precise sulla situazione. Quello che invece è appunto molto chiaro è la progressione che ha reso la criptovaluta e la sua gestione diffusa senz’altro più energivora: in certi casi il fabbisogno è raddoppiato nel giro di sei mesi e per un numero di transazioni certificate – 100 milioni all’anno contro i 500 miliardi delle tradizionali istituzioni finanziarie – minimale rispetto alla torta complessiva.