Amal Gaafstra è un biohacker americano profondamente convinto che gli impianti sottocutanei siano il futuro. Ha aperto un sito, dangerous things, per la vendita, in kit, al grande pubblico. Ecco quali sono i vantaggi e i problemi di un mondo ancora in divenire.
Un crescente numero di persone pensa che i nostri confini vadano superati integrando la nostra parte biologica con le nuove tecnologie. Protesi, sensori, supporti in grado di migliorare le nostre facoltà fino a superare l’umano come siamo abituati a conoscerlo. I transumanisti usano la scienza e l’innovazione per sconfinare verso nuove possibilità e aprire orizzonti finora preclusi e irraggiungibili. Non si parla tuttavia solo di dispositivi esterni, ma anche di soluzioni più invasive come nel caso dei chip impiantati sotto pelle.
Il futuro? È sotto la pelle
Amal Gaafstra è un biohacker americano profondamente convinto che gli impianti sottocutanei siano il futuro. Ha iniziato a pensarci nel suo ufficio già nel 2005, quando si è autoimpiantato un chip RFID con cui registrarsi entrando a lavoro invece di usare scansioni biometriche (iride o impronte digitali) e tesserini di riconoscimento. Un primo esperimento che l’ha reso a suo modo pioniere, portandolo a raccontare la fusione tra uomo e tecnologia in diversi eventi in giro per il mondo. Nel 2013 ha fondato infine Dangerous Things, sito per la vendita di impianti in kit al grande pubblico.
“Crediamo che il biohacking sia l’avanguardia di un nuovo tipo di evoluzione”Entrando sul sito troverete questa frase a darvi il benvenuto.
Basta poi qualche click per farsi un’idea di cosa sia possibile acquistare: kit per l’autoimpianto di chip, anelli stampati in 3D in grado di captare radio frequenze (RFID) e tag NFC per comunicare con gli impianti dotati di questa tecnologia. Con poche decine di euro potrete ordinare quello che sembra un kit di automedicazione, con garze e soluzioni antibatteriche e infine una semplice siringa in cui inserire il chip (circondato da una capsula di borosilicato biocompatibile). Serve un’iniezione (“Simile ad una puntura d’ape” dice Gaafstra) e avremo una mini antenna nel nostro corpo capace di misurare parametri vitali ma anche di comunicare con dispositivi esterni.
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Perché non dobbiamo avere dei chip
Fino ad oggi Gaafstra ha impiantato chip a ben 1200 persone. Dimenticatevi qualsiasi stereotipo, in questo folto gruppo di curiosi non troverete solo giovani hacker, ma persone di tutte le età, il più anziano di 72 anni. Tuttavia avere un chip sottocutaneo è ancora un tabù, per quanto piccolo e invisibile rimane un estraneo nel nostro corpo, e nell’idea che abbiamo di noi stessi.
«All’inizio vi erano persone che mi prendevano per matto, o pensavano lavorassi per il governo o per il diavolo. O per entrambi» racconta Gaafstra. Chi ha deciso di superare queste paure tuttavia pensa che i chip siano il miglior modo per facilitarci la vita in una società iperconnessa e digitale. Immaginate di poter pagare senza usare né contanti né alcuna carta bancaria. Potrete aprire la vostra auto perché questa riconoscerà solo voi.
Sbloccare porte e dispositivi senza dovervi portare nulla dietro. L’unica chiave sarete Voi.
Nulla da rubare, nulla da perdere. Tutto grazie ad un impianto che nessuno vede, che fa parte del vostro corpo al pari di carne e ossa. Più presente di qualunque gadget o wearable. A detta degli esperti del settore, ciò che manca ancora è una killer application in grado di generare un’ampia richiesta dei dispositivi e superare paure e dubbi. Applicazione che sicuramente sarà legata ad azioni concrete della vita quotidiana come pagamenti e sicurezza.
La privacy e le questione irrisolte
Rimane però il dubbio più grande: la privacy. Non abbiamo ancora maturato un approccio consapevole nei confronti dei nostri dati con pc e smartphone, che tuttavia possiamo mettere da parte, separare da noi stessi. Un chip sottocutaneo finirebbe per accompagnarci dovunque, spingendoci a dimenticare che si tratta di altro da noi. Impiantarlo puzza di tacita sospensione della nostra sfera privata.
Ovviamente non è tutto bianco o nero, e la tecnologia di per sé non ha colore finchè non se ne fa un determinato uso.
Tuttavia, in questo costante sforzo per superare le possibilità umane il rischio di dimenticarci di una presa di coscienza con cui metabolizzare le novità, cogliendo bene i relativi aspetti positivi e negativi, c’è sempre. La tecnologia futura è una grande opportunità di riflessione su noi stessi, che senza dubbio va affrontata in maniera attiva e non in veste di semplici consumatori.