I videogiochi horror si confermano la scelta prediletta delle startup del settore. Vediamo cosa ha combinato Nox Noctis col titolo di debutto pensato anche per PlayStation VR2
Non è certo un mistero che tante startup innovative, per i loro videogiochi d’esordio, propendano per survival horror in prima persona: anzitutto non c’è un alter ego poligonale da creare e animare, inoltre il genere ben si sposa con ambientazioni ridotte, come l’immancabile casa stregata, nelle sue mille declinazioni che vanno dal manicomio degli orrori di Layers of Fear 2 (qui la nostra recensione), alla nave da crociera dell’italianissimo Close to the Sun (lo abbiamo recensito qui), passando per la casa di cura vicina a Chernobyl di S.W.A.N. Chernobyl Unexplored (vi siete persi la recensione?) fino ad arrivare alla nave spaziale di Syndrome (lo abbiamo testato qui). Si tratta puntualmente di location immerse nelle tenebre, così da non dover scendere troppo nei dettagli. Tutti questi titoli (ma la lista potrebbe continuare: pensiamo per esempio a Visage, oppure al claudicante Remothered: Broken Porcelain o allo splendido Amnesia Rebirth), hanno in comune di essersi ispirati a P.T., quel Playable Teaser frutto dell’inedita collaborazione tra Hideo Kojima, geniale game designer nipponico e il visionario regista Guillermo del Toro. P.T. non solo ha mandato in sollucchero milioni di videogiocatori, senza essere nemmeno mai essere uscito, ma ha pure influenzato tantissimi sviluppatori. Nel filone vi rientra a pieno titolo pure Do Not Open, opera prima del team Nox Noctis, che ci butta in una lugubre dimora costringendoci a giocare a rimpiattino con l’entità maligna della situazione…
Do Not Open, salvo che non siate inseguiti
Do Not Open presenta un impianto davvero classico. Il nostro povero alter ego, Michael J. Goreng, zoologo ed epidemiologo, si ritrova intrappolato all’interno di una strana e inquietantissima versione soprannaturale della propria dimora. Immancabilmente, sua moglie e sua figlia sembrano essere state sequestrate da qualche strana presenza che ora infesta l’abitato ed è decisa a dargli la caccia per completare la propria opera maligna.
Inutile dire che l’entità maligna è invincibile, perciò anziché combatterla dovrete limitarvi a nascondervi (sotto il letto, negli armadi) nella speranza che passi oltre (spesso molto vana, visto che ha un ottimo fiuto). La morte è definitiva, quindi i momenti al cardiopalma non mancano, avendo la consapevolezza che essere beccati dal poltergeist significa perdere tutti i progressi conseguiti. Soprattutto alla luce del fatto che per superare ogni ambientazione è necessario risolvere almeno due enigmi e che questi vengono posti in maniera del tutto casuale o, come si dice oggi, “procedurale”.
Insomma, non c’è mai una partita uguale all’altra ed è inutile, come spesso si fa in titoli analoghi, appuntarsi le soluzioni dei rompicapo su un taccuino, perché varieranno sensibilmente a ogni partita, sia nella sostanza, sia nella localizzazione all’interno della casa stregata. Questo rende Do Not Open estremamente rigiocabile, anche se con quell’aggettivo ci riferiamo più al fatto che sarete costretti a riavviare più volte una nuova partita a seguito di un Game Over inatteso che alla voglia che potreste avere di riniziarlo una volta arrivati ai titoli di coda.
Questo per via del fatto che Do Not Open non aggiunge nulla alla formula classica, dunque con ogni probabilità avrete sicuramente già giocato a decine e decine di titoli analoghi. Dove la produzione di Nox Noctis si distingue dalla massa, comunque, è nell’estrema raffinatezza di dettaglio delle sue ambientazioni, capaci di fare una buona impressione anche su PlayStation 5. Non saremo ai livelli di Resident Evil Village (qui la nostra recensione), ma per essere un videogioco indipendente fa sicuramente un’ottima figura.