Le condizioni climatiche proibitive costringono il Paese a fare massicce importazioni di frutta e verdura. Una startup promette di far nascere i pomodori nel deserto
Cosa si coltiva nel deserto? Da giugno a ottobre nulla, perché fa troppo caldo. Ma c’è chi promette di rendere anche le dune di sabbia terra fertile tutto l’anno. La startup Pure Harvest ha investito in serre innovative capaci di far crescere i pomodori tutto l’anno anche qui.
Gli Emirati Arabi riescono a produrre frutta e verdura coltivati in pieno campo solo per alcuni mesi all’anno. Per il resto del tempo dipendono dall’import. Ciò che viene consumato nel paese è per l’80% importato.
Cosa fa Pure Harvest Smart Farms
Pure Harvest Smart Farms punta a rivoluzionare il processo produttivo grazie a serre ad ambiente controllato. La startup con sede a Nahel, a metà strada tra Dubai e Abu Dhabi City, dal 2016 studia il modo migliore per produrre frutta nel deserto.
Ha investito in serre hi-tech olandesi a controllo climatico, capaci di riprodurre le condizioni ideali per la coltivazione di frutta e verdura. Il controllo avanzato dell’ambiente si prende cura di illuminazione, temperatura e umidità. A determinare i dati necessari ci sono dei sensori, posti all’interno della serra, in punti strategici.
La scommessa di Sky Kurtz
Sky Kurtz è insieme a Mahmoud Adi e Robert Kupstas, il fondatore di Pure Harvest Smart Farms. Come ha raccontato al podcast di Wamda, l’obiettivo di Pure Harvest è coltivare 17 varietà di pomodori. Ma non solo.
Nel futuro potrebbe incrementare la sua offerta con fragole, angurie, melanzane e peperoncini. La sfida dell’azienda si giocherà anche sui temi della sicurezza alimentare, conservazione dell’acqua e sostenibilità.
Quando incontrano gli investitori – nell’ultimo round di finanziamento del 2017 hanno raggiunto la cifra di 4,5 milioni di dollari – tutti chiedono ai ragazzi di Pure Harvest, «Se tutto quello che state dicendo è vero, come mai non è stato fatto prima?».
Poi sono arrivati i primi pomodori e Kurtz ricorda di essersi sentito prima di tutto «sollevato». «Ci ho creduto così tanto, ma fino che non ne ho messo uno in bocca e assaporata la dolcezza, la complessità, fino a quel momento, erano solo un mucchio di slide power point e promesse», spiega il co-founder.
Le altre serre negli Emirati Arabi
La ricerca dell’indipendenza alimentare passa anche per altri progetti. Negli Emirati Arabi sono state inaugurate altre serre, come quelle di Farmhouse a Ras Al Khaimah, azienda fondata lo scorso anno. Il suo obiettivo è produrre e mettere sul mercato 1,2 milioni di tonnellate di ortaggi sostenibili.
La tecnica di coltivazione scelta è quella idroponica. Non vengono usati pesticidi. Le previsioni contano 4 milioni di tonnellate di prodotti ortofrutticoli all’anno.
A Dubai opera Badia Farms, la prima vertical farm indoor del Golfo, nota per produrre microgreens ed erbe aromatiche. I loro principali clienti? I ristoranti della città.
Ad Al-Ain c’è Al Dahra BayWa Greenhouse. Inaugurata lo scorso ottobre, l’impianto mira a produrre 3 mila tonnellate di pomodori all’anno. L’Europa ha investito anche in questa realtà, con una joint venture da 40 milioni di euro tra l’azienda tedescca BayWa e l’araba Al Dahra.
Il futuro delle coltivazioni del deserto
Kurtz ha le idee chiare: l’agricoltura tecnologicamente controllata avrà un grande futuro. «È un importante pezzo della soluzione alla sfida alimentare che circa 10 miliardi di persone affronteranno entro il 2050. Sta crescendo ovunque e, come abbiamo dimostrato, si può fare ovunque ed è sostenibile. Il suo sviluppo accelererà e si espanderà».