The Grand Tour caparbiamente voluto da Amazon Prime Video, si sa, non ha mai raggiunto i livelli di Top Gear, la trasmissione automobilistica della BBC dei miracoli che ai tempi d’oro della conduzione di Jeremy Clarkson, James May e Richard Hammond riuscì a tenere incollati al piccolo schermo 350 milioni di spettatori in tutto il mondo, otto milioni nella settima stagione soltanto in Gran Bretagna.

Jeremy Clarkson racconta il suo Top Gear
Ma cos’è che ha reso Top Gear un cult? Prova a rispondere lo stesso Jeremy Clarkson ai microfoni di un tabloid inglese: «Eravamo in macchina mentre parlavamo d’altro. Era uno stato d’animo, in realtà», questa la formula del successo di uno show che il suo presentatore si rifiuta di etichettare come “sulle auto”. «Eravamo ribelli senza esserlo affatto – ricorda ancora – molta della comicità moderna è la stessa cosa. Molti comici odierni dicono cose che si potevano dire benissimo 10 anni fa, ma le dicono perché ora non si possono dire con la cancel culture viva e vegeta».

Sempre il corpulento giornalista britannico, intervistato dal Telegraph, spiega perché la controparte per lo streaming non ha affascinato a tal punto, tanto che lo stesso Clarkson ha preferito interrompere le riprese con gli episodi trasmessi nel 2024, decretando la fine prematura dello show: «avere quello stato d’animo oggi sarebbe estremamente difficile».
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«Sarebbe ancora più difficile realizzare un salone dell’auto – ha poi aggiunto – perché la stragrande maggioranza delle auto ormai è catastroficamente noiosa. Sarebbe come recensire un forno a microonde o una lavatrice».
Quindi almeno al momento la sola avventura che intende proseguire è quella de La Fattoria Clarkson: «Là dentro sono il vero me», spiega sempre al Telegraph. «Non ci sono sciocchezze alla Top Gear. È molto più rilassante non avere una parte da recitare mentre in quei programmi di auto si finiva per appiattirsi sulla propria caricatura: James non era così noioso come lo dipingevamo; Hammond non era così stupido; io non ero così pomposo».