Dal regista Hiromasa Yonebayashi, allievo del premio Oscar Miyazaki, arriva un nuovo lungometraggio ispirato ancora una volta a una fiaba occidentale
Mary e il fiore della strega è ben più di un semplice lungometraggio. Per gli amanti dell’animazione nipponica è infatti la testimonianza che c’è vita oltre lo Studio Ghibli, il team giapponese capitanato con impareggiabile maestria dal regista Hayao Miyazaki.
Da Ghibli a Ponoc
Temevamo di non poter più godere dei paesaggi montani, delle atmosfere bucoliche e degli incredibili dettagli (soprattutto nel riprodurre i cibi, mai così appetitosi su pellicola!) che sono caratteristica fondante delle produzioni dello Studio Ghibli rimasto peraltro orfano, lo scorso 5 aprile, di uno dei suoi padri: il maestro Isao Takahata. Invece l’eredità è stata raccolta dal team Ponoc. Nome curioso, perché viene da un termine serbocroato capace già di regalare un brivido magico: infatti significa “il momento in cui un giorno finisce e un altro comincia”.
L’eredità: 30 anni di capolavori
Proprio in Ponoc sono confluite alcune delle menti più brillanti e delle matite più talentuose dello Studio Ghibli. A iniziare da Yoshiaki Nishimura e Hiromasa Yonebayashi, entrambi allievi di Hayao Miyazaki premio Oscar per La città incantata (2001). Con Mary e il fiore della strega dovranno ora dimostrare di essere all’altezza di raccogliere il passaggio di consegne. Non sarà facile, perché Studio Ghibli ha regalato al mondo opere del calibro di: Nausicaä della Valle del vento (1984), il tristissimo Una tomba per le lucciole (1988, giunto in Italia solo nel 2013), il meno noto Pioggia di ricordi (1991), il sagace Porco Rosso che irrideva le forze nazifasciste (1992), l’epico Principessa Mononoke (1997), il magico Il Castello Errante di Howl (2004) e il poetico Ponyo sulla scogliera (2008) senza poi dimenticare Il mio vicino Totoro (1988) che è diventato parte integrante del logo della casa di animazione giapponese e l’opera che ha rappresentato l’addio alle scene di Miyazaki (in attesa di un suo ritorno con How Do You Live?): Si alza il vento (2013).
Mary e il fiore della strega
Come si diceva, Mary e il Fiore della Strega è più di un semplice lungometraggio: per gli appassionati di animazione giapponese è un sogno che si avvera nonché un ritorno insperato, dato che le scrivanie dello Studio Ghibli sono ormai desolatamente vuote, ma per Ponoc è anche il banco di prova, il primo lavoro serio da quando è stato fondato, tre anni fa circa.
Sono tante le somiglianze tra questo cartone e le opere storiche di Miyazaki & Co: i capelli rossi e scarmigliati della giovane protagonista rimandano inevitabilmente a Ponyo, la scopa volante da strega a Kiki consegne a domicilio (1989), l’istituto scolastico per giovani maghi anziché a Hogwarts rimanda al bislacco castello di Howl, non manca nemmeno la figura del gatto misterioso che fa quello che vuole (“Lo sanno tutti che i gatti sono dei veri intenditori di magia!”) come ne I sospiri del mio cuore (1995) e la storia inizia guarda caso con un trasloco, proprio come ne La città incantata o ne Il mio vicino Totoro. Al timone del resto c’è il 44enne Hiromasa Yonebayashi, entrato giovanissimo nello Studio Ghibli come animatore e poi promosso a regista con Arriety Il mondo segreto sotto il pavimento (2010).
Il giovane director, lavorando gomito a gomito con Miyazaki ha potuto assorbire, quasi per osmosi, il talento del maestro e, infatti, Mary e il Fiore della Strega a tratti sembra proprio un’opera del grande maestro nipponico. Anche perché è disegnato rigorosamente a mano, come Miyazaki ha sempre imposto al proprio team, con una cura maniacale per i fondali e i colori, i mezzi meccanici e le architetture. Mary e il Fiore della Strega uscirà nei cinema italiani proprio oggi, giovedì 14 giugno e ci resterà per pochi giorni, fino al 20.
Ispirato al romanzo La piccola scopa della scrittrice britannica Mary Stewart, Mary e il Fiore della Strega racconta ancora una volta, come molte delle opere passate dello Studio Ghibli, il mondo visto dagli occhi di una bambina. Giornate estive che sembrano non avere fine, il cortile della casa nuova che, per sfuggire dalla noia, diventa un bosco da esplorare, un fiore azzurro cui attribuire poteri magici… Non sappiamo quanto, delle avventure vissute da Mary, sia reale o frutto della sua fantasia e nemmeno, in fondo, ci interessa, perché ancora una volta l’importante non è l’epilogo della storia, ma il viaggio, il modo nel quale si sviluppa.
Non ci sono combattimenti epici e nemmeno situazioni di vero pericolo, perché come molte altre opere dello Studio Ghibli Mary e il Fiore della Strega non racconta di cavalieri e grandi imprese, ma di ragazzini alle prese con l’adolescenza, qui rappresentata da fiori che sbocciano e per mezzo di un mondo magico difficile da governare, con i conseguenti imbarazzi e sbalzi d’umore.
Non a caso Mary maturerà proprio quando capirà che potrà affrontare le difficoltà quotidiane senza ricorrere ai suoi poteri. Come scrive l’autrice nel romanzo: “Non sarebbe giusto usare il libro degli incantesimi per aprire la porta principale. Lo farò nel modo in cui si è sempre fatto, anche se ci vorrà più tempo”. Un insegnamento tanto modesto e semplice quanto prezioso, come le piccole – grandi opere che arrivano dal Giappone.