Coworking, listening bar, librerie esperienziali e hub culturali: sono questi gli spazi ibridi che oggi stanno reinventando il concetto di comunità urbana. In un mondo in cui siamo sempre connessi ma sempre più soli, i «terzi luoghi» tornano a essere essenziali. Sono luoghi fisici, accessibili e inclusivi dove ritrovare relazioni, ascolto e tempo condiviso. Un nuovo umanesimo urbano sta prendendo forma – lento, relazionale e spesso fatto di caffè, vinili e parole.
Viaggio per i Terzi luoghi
Il concetto di Third Place è stato introdotto nel 1989 dal sociologo e urbanista statunitense Ray Oldenburg nel libro The Great Good Place. Secondo Oldenburg, ogni persona si muove quotidianamente tra tre spazi fondamentali: la casa (primo luogo), il lavoro (secondo luogo) e un terzo spazio, che dovrebbe facilitare relazioni, scambio e socialità.
«Il terzo luogo è quel contesto informale, pubblico e accessibile dove le persone possono incontrarsi con leggerezza, senza dover essere né padroni di casa né impiegati». Bar di quartiere, caffè, piccole librerie, parchi condivisi: spazi che favoriscono connessioni spontanee, non orientate da scopi strettamente professionali.

In Italia, oggi, i terzi luoghi si evolvono in forme sempre più fluide: ambienti pensati per facilitare la comunicazione, la sperimentazione e dare vita a nuovi ecosistemi creativi e comunitari. Spazi ibridi, capaci di trasformarsi durante la giornata: per lavorare, incontrarsi, partecipare a eventi culturali o semplicemente prendersi una pausa. La loro forza sta nella modularità d’uso e nella capacità di adattarsi ai bisogni della collettività.
Una rivoluzione urbana gentile
I terzi luoghi di oggi non sono più solo bar, librerie o palestre. Sono spazi contaminati e contaminanti: coworking con caffetteria, librerie che ospitano reading e dj set, cortili riqualificati per accogliere attività culturali, listening bar o concept store. A volte temporanei, come i pop-up o i festival urbani, a volte diffusi. Spazi che, nella loro fluidità, diventano ambienti di appartenenza e comunità eterogenee, ma senza essere costosi club elitari.
Casi virtuosi in Italia
Le Serre dei Giardini Margherita a Bologna sono tra gli esempi più riusciti: ex serre comunali trasformate in hub culturale e sociale, dove coworking, orto idroponico, bistrot, eventi e laboratori per bambini convivono. Un luogo inclusivo dove la cultura si intreccia con la sostenibilità.

A Napoli, in via Crispi, la nuova libreria emotiva Luce, inaugurata nella primavera 2025, ribalta il concetto di libreria: i libri sono catalogati per stati d’animo, e l’ambiente è intimo, multisensoriale, pensato per ispirare e accogliere. Le luci calde invitano a fermarsi, le letture collettive e gli incontri tematici rendono questo spazio un vero rifugio urbano.
A Milano, la Cascina Cuccagna, un complesso del ‘700, è un punto di riferimento di un centro culturale metropolitano con orti urbani, ristorante, laboratori e spazi per eventi. Un progetto che promuove la coesione sociale e la sostenibilità, nel cuore di una delle città simbolo della finanza e dell’innovazione.

Da Favara a Palermo, Farm Cultural Park è forse il più visionario dei terzi luoghi contemporanei. Nato nel 2010 dal recupero di un centro storico semi-abbandonato, oggi è un ecosistema culturale in continua evoluzione: mostre, eventi, laboratori, installazioni e residenze artistiche. Un progetto che ha riscritto l’identità urbana di Favara e che oggi guarda a Palermo, con l’apertura, il prossimo 5 luglio, nell’Ex Convento dei Crociferi di Santa Ninfa, del Museo delle Città del Mondo.

Il boom dei listening bar
Tra i fenomeni più emblematici di questa nuova socialità urbana ci sono i listening bar. Nati negli anni ’50 in Giappone con la kissa culture, erano piccoli rifugi acustici dove allontanarsi dal rumore e dalla frenesia cittadina. Nei jazz kissa di Tokyo e Osaka, si ascoltavano dischi in silenzio, circondati da scaffali di vinili e impianti hi-fi.
Oggi, questi luoghi stanno tornando in Europa, reinterpretati nell’estetica più variegata e con un’attenzione maniacale all’acustica. L’hi-fi si fa low-fi: si ricerca la calda imperfezione del vinile, il tempo lento. Nessuna playlist algoritmica, nessuno scroll. Solo persone che ascoltano insieme. I listening bar diventano così terzi luoghi dove la musica è solo il pretesto per un’esperienza più intima, umana, condivisa.
Quando i brand fanno rete
I grandi marchi non si sono lasciati sfuggire il potenziale di questi spazi nel processo di avvicinamento e fidelizzazione del cliente e nella narrazione del prodotto. Vetrine ibride e multisensoriali che si muovono tra cibo, arte, musica, in un nuovo contenitore inedito per la comunità: il terzo luogo. Starbucks ha costruito il proprio successo sul concetto di «casa fuori casa». Apple ha trasformato i suoi store in piazze pubbliche esperienziali. Questi ambienti diventano piattaforme di relazione, comunità temporanee che rafforzano l’identità del brand.

A Torino, Nuvola Lavazza è un polo culturale che va ben oltre la sede aziendale: museo interattivo, ristorante, piazza pubblica, eventi e installazioni. Un ecosistema urbano dove lavoro, cultura e comunità si intrecciano.

Il format RED di Feltrinelli è un altro esempio – dove RED sta per read, eat, dream: libreria, wine bar, ristorante e palco per concerti. Il libro diventa un punto di partenza per dialogo, relazione e scambio culturale.
Spazi del futuro o ritorno alle origini?
Forse la vera innovazione urbana non passa (solo) per la tecnologia. I terzi luoghi rispondono a un bisogno profondamente umano: esserci, condividere, sentirsi accolti. Un ritorno all’essenziale, ma con nuove forme, nuove energie e nuovi significati.
Stiamo costruendo città sempre più intelligenti. Ma saranno anche più umane?