«A 19 anni sentivo due grandi fuochi crescere dentro di me: la passione per la filosofia, di cui sono stato innamorato sin dall’infanzia, e una grande voglia di indipendenza». Così Raffaele Tovazzi, il primo filosofo esecutivo italiano, racconta a StartupItalia i suoi primi passi verso il successo. «Dopo il liceo classico, mi sono iscritto a Filosofia. Nel frattempo, ho aperto la partita IVA. Non ho mai ricevuto una busta paga in vita mia, ho sempre creduto nell’indipendenza, economica e culturale». Raffaele, che sarà uno dei nostri ospiti sul main stage di SIOS24 Winter, oggi è uno Chief Philosophy Officer che utilizza la conoscenza umanistica come strumento di comunicazione, consulenza e formazione. Una professione in Italia semisconosciuta in cui ha sempre creduto e che ha coltivato con passione, determinazione e tanta voglia di fare (e perchè no, anche sbagliare). In un’intervista ci ha raccontato quel lungo percorso tutt’altro che semplice che lo ha portato a crescere, fino a oggi.
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Raffaele, che cosa significa “essere un filosofo esecutivo”?
Durante gli studi universitari mi sono imbattuto nella filosofia del linguaggio, scoprendo che questo mondo si poteva incrociare con quello degli affari. La filosofia spesso mancava nel mondo delle imprese, così come nella ricerca accademica mancava il pragmatismo che portava alla messa a terra dei modelli filosofici. Da questa intuizione è iniziata una ricerca, che poi si è concretizzata nella mia tesi di laurea sulla filosofia esecutiva. Il mio punto di partenza è stato Milton Erickson, psichiatra e psicoterapeuta, sulle cui geniali intuizioni in ambito clinico alcuni ricercatori a partire dagli anni ‘80 hanno tratto dei modelli applicabili all’advertising commerciale e alla propaganda politica. Quando io mi sono laureato, il mondo accademico italiano era qualche qualche passo indietro su queste discipline, quindi ho scelto di investire nella mia formazione perfezionando le mie ricerche negli U.S.A.
E poi che cosa hai fatto in America?
Ho studiato Programmazione Neuro-Linguistica ad Orlando in Florida e Negoziazione Strategica ad Harvard nel Massachussets, dove ho completato il P.O.N. (Program On Negotiation). Poi ho cominciato a lavorare tra l’Italia, gli Emirati, la Cina ed il Regno Unito, dove mi sono trasferito definitivamente nel 2017, cercando costantemente un punto di unione tra la mia ricerca accademica ed il mondo delle imprese. Ogni volta che mi imbattevo in un modello di “società ideale” elaborato nel passato da qualche filosofo mi chiedevo “Se questa società ideale fosse una società di tipo commerciale, in che modo potremmo utilizzare questo modello per fare innovazione nel presente e formare il futuro?”.
Come è nata la tua prima azienda?
Agli inizi degli anni 2000, per fare formazione e testare i modelli che studiavo all’università applicandoli al mondo delle imprese. Nel 2012 ho fondato una vera e propria scuola di formazione, che ho sviluppato fino al 2017, anno del mio definitivo espatrio a Londra. Nella capitale britannica ho aperto altre due aziende per proseguire la mia attività consulenziale e formativa già avviata in Italia, poi una terza, nel 2018, focalizzata nel mondo dei podcast e dell’advertising acustico. Quest’ultima, Dr Podcast, nel 2022 ha visto l’entrata in società di un importante investitore come PubliEurope (Gruppo Mediaset).
Come è arrivata nel tuo percorso la radio?
Io sono un grande appassionato di radio, ho fondato un’azienda di podcast con in cuore il sogno di lavorarci. Il progetto che mi ha proposto Radio105 – 105 Start Up – unisce l’innovazione alla comunicazione, che per me è motivo di grande orgoglio. Ogni settimana presentiamo due startup che, spesso, sono storie di imprenditori che sono riusciti a mettere a terra idee e farle arrivare alla collettività. Raccontandole in radio sproniamo altri imprenditori a intraprendere il proprio percorso, personale e professionale. Io credo che lanciare una startup sia un po’ come sposarsi: devi credere nell’amore che sopravvive alla sfida del tempo per andare all’altare; così come devi credere nel futuro per lanciare una startup.
In questi tuoi spostamenti, quale è il posto che ti ha colpito di più?
Londra, per me, è sempre stata il punto di partenza e arrivo, è la città che ho sognato, “conquistato”, e che considero casa. Premetto, che non ho mai vissuto stabilmente negli USA, dove ho studiato e fatto business, così come a Shanghai, dove ho fatto lunghe esperienze lavorative. Considero Londra il mio posto nel mondo: uno giusto compromesso tra lo slancio innovativo statunitense e il legame con la tradizione tipicamente europeo, in una città senz’altro difficile, specie dopo la Brexit, ma che continua ad ispirare movimenti artistici, musicali ed imprenditoriali come pochi altri luoghi nel mondo. A Londra si parlano 250 lingue e quasi mezzo milione di italiani ci vivono stabilmente, è un melting pot di culture che la rende una delle poche città autenticamente internazionali in Europa e che permette ancora di intercettare con qualche anno di anticipo quelle tendenze che diventeranno mainstream nel prossimo avvenire.
E, invece, dell’America che cosa hai apprezzato in particolare?
Mentre in Italia all’università si studiano, soprattutto, i modelli teorici, ad Harvard ho compreso come il modello sia completamente rovesciato e il punto di partenza sia la pratica, da cui si estrapolano – attraverso l’esperienza individuale ed il feedback collettivo – i modelli teorici. Gli Stati Uniti sono stati determinanti per due aspetti: per capire come portare la filosofia nel mondo delle aziende e perché mi hanno dato un’intensiva lezione di pragmatismo a cui non ero abituato venendo, appunto, dal mondo accademico italiano. Come a dire: non conta quello che credi di sapere, conta quel che riesci a comunicare, per creare valore.
Poi sei arrivato in TV..
Proprio così, sono stato fin da subito sorpreso di come anche nel nostro Paese ci fosse ricettività sulla filosofia applicata a tanti ambiti: dallo sport alla cultura in senso stretto. Dal 2017 al 2020 ho collaborato con diversi programmi televisivi e nel 2020 ho partecipato ad una stagione del programma “Freedom”, in prima serata su Italia1, con Roberto Giacobbo. Sono stato ingaggiato come il “Filosofo da Londra” e come protagonista di collegamenti sui temi più disparati trattati da Roberto nelle puntate del suo bellissimo programma. Lo stesso anno ho iniziato a collaborare con Radio Montecarlo, poi è arrivata la collaborazione con Radio105 e, da quest’anno, la collaborazione con Mediaset e la radio si sono intensificate con la grande opportunità 105 Village.
Perchè per te è importante parlare di innovazione oggi?
La parola “innovazione” deriva dal latino, “in nova agere” (tradotto “mettere in azione idee nuove”). Abbiamo bisogno di idee nuove perché nel contesto incerto in cui viviamo abbiamo, quanto, mai bisogno di futuro. Chi fa innovazione forma il futuro e, come filosofo, non posso che mettermi al servizio di chiunque abbia questo scopo.
E tu che cosa vedi nel tuo futuro?
Assolutamente la radio, sempre più radio! Perché se noi analizziamo la storia recente, dagli inizi del ‘900 ai giorni nostri, non possiamo che constatare come la radio abbia sempre rivestito un ruolo centrale nella narrazione delle dinamiche individuali e sociali. Una radio-chiamata oggi, ancora una volta, serve a raccogliere le sfide del proprio tempo e dare voce a chi non sempre ha voce. Omero cantava le gesta di eroi negli anfiteatri dell’antichità, 105 Startup racconta le imprese degli innovatori di oggi… Dov’è la differenza? È passato il tempo, sono cambiati i mezzi, ma si tratta sempre di scrivere e raccontare storie. E la radio esiste per questo.