Un crowdfunding che punta a raccogliere mezzo milione di dollari “regalando” parecchi titoli
Il mondo dei videogiochi ha saputo mostrare tutto il proprio impegno nel sostegno a cause nobili. Lo abbiamo visto dopo lo scoppio della pandemia, con maratone benefiche online per raccogliere fondi da destinare a ospedali e associazioni. In questi giorni è in corso un crowdfunding lanciato da più di 800 tra sviluppatori e creatori di videogiochi indipendenti per donare mezzo milione di dollari alla United Nations Relief and Works Agency, affinché possa sostenere la popolazione palestinese con cibo, acqua e beni di prima necessità in un momento di nuovo tragico per questo angolo di Medio Oriente. Non si tratta di un’operazione di facciata, perché tutte queste software house hanno deciso di regalare qualcosa come oltre mille videogiochi indipendenti a chi farà una donazione di 5 dollari.
La campagna di crowdfunding resterà aperta fino a venerdì 11 giugno. Entro quella data gli organizzatori sperano di aver raggiunto l’obiettivo che si erano prefissati (500mila dollari). A pochi giorni dalla chiusura sono a 470mila dollari. Come evidente dalla pagina ufficiale, le software house che hanno aderito hanno preso una posizione netta sul conflitto in corso da decenni. A lanciare questo progetto benefico è stata Alanna Linayre, in arte Tybawai, sviluppatrice indie di videogiochi.
Leggi anche: First Playable Fund, da fine mese si possono chiedere i fondi
«I giochi indie sono unici in quanto possono raccontare storie che non si vedono nei giochi AAA o in altri giochi – si legge sulla pagina ufficiale della campagna di crowdfunding -. Nei nostri videogiochi mettiamo le nostre esperienze di vita e condividiamo un pezzo di noi stessi con il mondo. Gli sviluppatori di giochi palestinesi non sono diversi in questo aspetto, ma affrontano più sfide come l’accesso limitato ai servizi di base, come acqua pulita, elettricità, cure mediche e sicurezza alimentare. Vivono sotto l’autorità israeliana che li discrimina e soggioga fino alla persecuzione e all’apartheid. Semplicemente perché sono palestinesi».