Una nuova puntata della rubrica dell’avvocato Alessandra Fiumara “Startup tra Diritto e Rovescio”. Parliamo di come tutelare uno slogan
Nel marketing e nel mondo della pubblicità, l’utilizzo di frasi brevi per trasmettere concetti persuasivi è la normalità.
Al pari di un logo, che utilizza i colori, le forme ed i simboli per richiamare l’attenzione e rimanere impressi nella memoria del consumatore, queste brevi frasi giocano sul potere evocativo e persuasivo delle parole per far ricordare un messaggio, per trasmettere un’emozione.
Gli slogan pubblicitari, i payoff ed i claim sono parole, simboli, disegni accattivanti creati per mantenere vivo nella mente del consumatore il marchio della società e/o del prodotto.
La pubblicità ha infatti la capacità di tenere alto il valore e l’unicità del brand della società e dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio.
Ma chiariamo alcuni concetti legati alla pubblicità per rendere più comprensibile il settore in cui ci addentriamo.
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Che cos’è un payoff, e un claim?
Il payoff (chiamato anche tagline) è una frase breve associata in modo permanente al logo della società, diventando quasi un tutt’uno con esso. Alcuni esempi sono “I’m loving it” di McDonald e “la Coop sei tu, per l’appunto di Coop”.
Il claim (chiamato anche headline) è un’espressione legata ad una singola campagna pubblicitaria – quello che noi abbiamo sempre chiamato “slogan”: può servire ad esprimere alcune qualità di un prodotto, i valori di un’impresa o a distinguere il brand dai suoi concorrenti, ma viene poi abbandonata al termine della campagna, in favore di un nuovo claim che accompagnerà la successiva (si prenda ad esempio la famosa campagna della Barilla e il suo “Dove c’è Barilla c’è casa”).
Come ho già avuto modo di illustrare, il marchio svolge la funzione di creazione di valore, in quanto esprime l’identità della società che ne è titolare, viene creato ed utilizzato per memorizzare le caratteristiche di un determinato prodotto (il nome e il logo, infatti, ci permettono di individuare facilmente il prodotto che ci interessa da quelli dei concorrenti, riducendo così i tempi del processo d’acquisto) e col tempo noi continueremo a scegliere quel determinato prodotto perché il marchio che lo contraddistingue incarna le qualità e le caratteristiche che noi cerchiamo in quel prodotto, e, quindi, finisce per svolgere anche una funzione di garanzia.
La pubblicità non fa che rafforzare tutto questo.
Infatti, se all’interno dello slogan viene utilizzato anche il nome della società che ne è titolare, il marchio avrà sicuramente maggior forza ed ancor di più risulterà rafforzato il marchio del prodotto e/o del servizio usato in associazione a quello della società.
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Anche gli slogan sono marchi
Al pari poi delle parole utilizzate e/o depositate come marchio, anche gli slogan ed i payoff possono essere considerati come dei veri e propri marchi e possono, a loro volta, essere depositati e tutelati. Ovviamente perché ciò avvenga dovranno, a loro volta, rispettare i requisiti previsti per i marchi e quindi lo slogan ed il payoff dovranno essere: distintivi, nuovi e leciti.
Ma cosa vuol dire tutto ciò rispetto alla pubblicità?
Sarebbe registrabile uno slogan/payoff tipo, “il miglior detersivo” per un detersivo? Al di là della banalità dell’esempio, la risposta sarebbe ovviamente negativa: questa breve frase sarebbe fortemente descrittiva del prodotto che reclamizza e quindi se pur venisse registrata in un qualsiasi ufficio (nazionale o estero) non sarebbe tutelabile. Lo stesso dicasi qualora esistessero altri slogan/payoff uguali o simili, in quanto, il nostro slogan/payoff sarebbe carente di novità.
Ciò detto è bene chiarire che non tutti i claim possono essere registrati come marchio.
Tale protezione non può essere ottenuta se lo slogan/il payoff sono percepiti dal pubblico solo come una formula elogiativa o come puro messaggio promozionale e non come un segno distintivo, non come, quindi, un segno in grado di contraddistinguere in modo chiaro ed inequivocabile l’origine imprenditoriale del prodotto/ servizio che promuove.
Prova ne è che la Wella si è vista respingere la domanda di marchio europeo per “Tame it” (Domali!) per olii essenziali e cosmetici per capelli perché l’esaminatore ha ritenuto che i consumatori di lingua inglese avrebbero percepito lo slogan come una mera incitazione all’uso dei prodotti per ammorbidire i capelli e non come un indicatore di provenienza imprenditoriale degli stessi (Trib. UE 15.9.2009).
E’ evidente come, in questo contesto, lo slogan/payoff vada scelto con cura ed ancora più evidente è perché occorra molto studio (esattamente come per la scelta del marchio) onde avere il massimo della tutela.
Il deposito dello slogan come marchio non è l’unica possibilità di tutela offerta dall’ordinamento.
Se dotati di carattere creativo, infatti, gli slogan ed i payoff possono essere protetti dalla legge sul diritto d’autore.
Per ottenere la tutela prevista dal diritto d’autore la legge non richiede il compimento di alcun adempimento specifico: non è, infatti, a differenza del marchio, necessario un deposito, né sostenere costi per la registrazione. È sufficiente che sia dotato del requisito della creatività previsto dalla legge sul diritto d’autore e che se ne possa dimostrare la paternità e la data di creazione (in caso di contestazione).
Un piccolo inciso merita, a tal proposito, la titolarità dello slogan /payoff.
E’ prassi comune rivolgersi ad una società di marketing e comunicazione, piuttosto che a dei singoli professionisti per creare la propria campagna pubblicitaria.
Troppo spesso, tuttavia, non viene contrattualizzato di chi sia la proprietà intellettuale della campagna ed in particolare dello slogan e/o del payoff.
Peccato che un contratto ben strutturato eviterebbe eventuali conflitti sul punto: troppo spesso, infatti, non si sa “di chi sia che cosa” e troppo spesso nascono contenziosi proprio circa la titolarità dei diritti e sul loro sfruttamento che avrebbero facilmente potuto essere evitati.
Ne sa qualcosa il professionista che ha ideato nel 2007, a seguito di incarico commissionato da una nota agenzia pubblicitaria, in vista della partecipazione ad una gara indetta da Fiat Group Automobiles S.p.A. per il lancio della nuova500 sul mercato, lo slogan “you are we car” che poi ha decretato il successo della macchina in questione.
Le parti si trovarono, infatti, a battagliare per diversi anni attraverso i vari gradi del giudizio fino a giungere in Cassazione che, sul caso, si è definitivamente espressa nel giugno 2016 (sent. Cass. Civ. 13171/2016).
Il motivo del contendere concerneva, da un lato, la possibile qualifica dello slogan quale opera dell’ingegno, come tale proteggibile ai sensi della legge sul diritto d’autore, e, dall’altro, la possibilità per il suo ideatore di ottenere il riconoscimento di un corrispettivo per la cessione dei diritti di utilizzazione economica dell’opera all’agenzia.
Bisogna infatti precisare che l’ideatore e l’agenzia non avevano stabilito gli aspetti economici sull’utilizzazione della tagline, in ragione del fatto che l’agenzia non aver raggiunto, a sua volta, alcun preciso accordo economico con Fiat in merito ai compensi dovuti per l’ideazione e l’utilizzo dello slogan prescelto.
In primo grado, l’ideatore si è visto riconoscere la tutelabilità dello slogan quale opera dell’ingegno nonché il diritto a richiedere un compenso economico per il suo sfruttamento; in secondo grado, la Corte d’Appello ha sì confermato natura di “opera dell’ingegno” dello slogan pubblicitario ma ha invece ritenuto che l’ideatore avesse operato all’interno di un “contratto d’opera”, che comportava l’obbligo di realizzare uno slogan per partecipare alla gara indetta da Fiat. Conseguentemente, i diritti patrimoniali inerenti l’opera dovevano intendersi in capo al committente; la Cassazione ha poi confermato la sentenza della Corte d’Appello.
E’ dunque ben evidente come, onde evitare incertezze e contestazioni, sia sempre preferibile non dare per scontato di chi sia la titolarità dei diritti e la loro utilizzabilità ed anzi come sia preferibile regolarla contrattualmente.