Per marchio di posizionamento si intende quel segno distintivo costituito da una parola, un motivo grafico o una figura bi o tridimensionale per cui viene richiesta la registrazione in una posizione specifica e ben definita di un determinato bene
Nel mio precedente post ho affrontato il tema dei c.d. “marchi non convenzionali” e tra i marchi non convenzionali rientra anche il “marchio di posizionamento”.
Per marchio di posizionamento si intende quel segno distintivo costituito da una parola, un motivo grafico o una figura bi o tridimensionale per cui viene richiesta la registrazione in una posizione specifica e ben definita di un determinato bene.
La legge prevede che questo particolare tipo di marchio debba essere rappresentato attraverso una riproduzione che ne individui adeguatamente la posizione nonché la dimensione o la proporzione in relazione ai prodotti su cui andrà apposto.
Vien dunque da dire: allora basta posizionare un qualsiasi segno in uno specifico punto di un di un bene per ottenere un monopolio su quel posizionamento!
Purtroppo no.
Come chiarito dall’Euipo stesso, nelle sue guidelines, la questione è tutt’altro che semplice.
Trattandosi pur sempre di un segno distintivo, occorrerà comprendere se il posizionamento del marchio sui prodotti che va a contraddistinguere offra la possibilità di essere inteso come avente funzione di marchio e cioè occorrerà verificare se il consumatore riconduca il segno alla specifica società che lo ha apposto.
Ma non solo.
Il marchio di posizione potrebbe finire per essere percepito dal consumatore semplicemente come un elemento decorativo del prodotto su cui è apposto. Circostanza questa che ne determinerebbe l’invalidità.
Pur ammettendo, infatti, che il pubblico di riferimento possa essere attento ai diversi particolari estetici di un prodotto, ciò non implica automaticamente che li percepisca come marchio e che sia in grado di identificarli in funzione di marchio e quindi in maniera indipendente dal normale aspetto del prodotto in sé.
Da qui la difficoltà, nel concreto, di delineare quando si tratti di un marchio valido e quando no, come peraltro attestato dalle (poche) pronunce giurisprudenziali.
Il Tribunale UE ha, ad esempio, ritenuto non valido un marchio di posizione che consisteva in una striscia di colore arancione che copriva la zona della punta di un paio di calze, in quanto ha ritenuto che non vi fosse alcuna prova che la colorazione di questa parte del prodotto potesse essere percepita come avente carattere di marchio, ed anzi, ha ritenuto che tale caratteristica rischierebbe di essere percepita come una caratteristica decorativa rientrante nelle norme e consuetudini del settore di mercato in questione.
E’ stato invece concesso come marchio dell’Unione Europea un marchio descritto come “marchio di posizione che consiste in un elemento figurativo apposto sulla superficie esterna della parte superiore di una scarpa e che si estende nel senso della lunghezza dal centro della fascia della scarpa fino alla suola.”
Ed ancora, il Tribunale di Milano ha ritenuto che il marchio di posizione che Diesel apponeva sui propri jeans, consistente in un’etichetta trasversale di colore più chiaro del colore dei jeans, posta sulla quinta tasca antero-laterale, fosse un marchio perfettamente valido in quanto “ tale etichetta costituisce un aspetto “capriccioso” ed inessenziale, essendo tutelata non la striscia che compone un’etichetta tout court, bensì una sua specifica configurazione indicata sostanzialmente nella posizione sull’indumento e nella sua inclinazione. Tale tipologia di etichetta per il suo posizionamento può dunque integrare in sé un segno valido in quanto esso non investe in alcun modo l’aspetto esteriore del prodotto né ne condiziona la forma sotto il profilo ornamentale” (Trib. Milano, sentenza n. 8845/2020).
Mentre non è stato ritenuto valido un marchio che consisteva “nella posizione di una piccola pietra di colore rosso, di forma circolare, con diametro di 2 mm, incastonata nella superficie interna laterale di un anello. La forma dell’anello è tracciata con linee puntinate e non fa parte del marchio”, in quanto il marchio in questione non si dissociava sufficientemente dalla forma della parte del prodotto dove era applicato, finendo, quindi, per essere confondibile con l’aspetto generale del prodotto. Inoltre, il fatto che le pietre preziose fossero comunemente usate come elementi decorativi per tale tipologia di prodotti, e che il colore rosso fosse estremamente comune nel settore di riferimento, hanno portato a non ritenere che il marchio fosse dotato di capacità distintiva in quanto non in grado di distinguere i prodotti richiesti da altri dello stesso tipo.
Anche in questo caso, dunque, solo il tempo riuscirà a delineare lo spartiacque tra marchi validi e non anche ai fini di un’eventuale contraffazione.