Quando si parla di disabilità e inclusione spesso il piacere sessuale viene trascurato. Eppure anche coloro che soffrono di patologie particolari hanno il desiderio di provare piacere e benessere. È proprio con questo intento che nel 2019 ha preso forma Sexjujube, una startup che si occupa di vendita di sex toys per persone affette da patologie motorie agli arti inferiori e superiori, consulenze e formazione all’educazione sessuale. Con sede a Bari, in Impact Hub, Sexjujube lavora per abbattere i tanti tabù che ancora si celano non soltanto dietro al mondo dei sex toys ma anche alla sfera della sessualità vissuta da persone disabili, affinché nessuno venga più escluso. Abbiamo intercettato il team per farci raccontare come è riuscito ad avviare questa attività in un Paese che è ancora preda di molti retaggi legati all’ambito sessuale, soprattutto culturali.
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Sex toys per tutti
Se si parla di inclusività e uguaglianza, perché quel sex toy non potrebbe usarlo anche una persona con disabilità? È stata questa la domanda che ha spinto Silvia Petrella e le sorelle Antonella e Nadia Amoruso a pensare a un’impresa che potesse soddisfare il piacere di tutti. «Sexjujube è nata nel 2019, poco prima che arrivasse la pandemia – raccontano le co-founder – Inizialmente volevamo dare vita a un e-commerce di sex toys, poi abbiamo constatato la molteplice presenza di competitor (e potenziali competitor) e ci siamo focalizzate su una necessità che, invece, è molto poco soddisfatta: quella di vendere gadget sessuali per persone che soffrono di patologie motorie agli arti inferiori e superiori». Nel 2021 quell’idea è diventata una startup innovativa, e nell’agosto dello stesso anno è stata lanciata la piattaforma online. «La nostra innovazione sta nel servizio innovativo che offriamo, nella ricerca e nei valori che comunichiamo – spiegano – Abbiamo creato il nostro bollino, che è il nostro marchio di impresa e che si trova su tutti i prodotti legati alla disabilità motoria. In più, nelle confezioni e in piattaforma forniamo una serie di consigli utili su come poter utilizzare il gadget acquistato o che si desidera comperare. Così ci siamo posizionate anche come guida per coloro che soffrono di determinate patologie ma che, comunque, non vogliono rinunciare al benessere sessuale». Non solo una guida per i clienti ma anche per i professionisti del settore. «Periodicamente svolgiamo una serie di attività di consulenza e formazione, anche online grazie al prezioso contributo di alcuni professionisti che dall’inizio hanno creduto in noi: la fisioterapista Silvana Nardi, specializzata nella riabilitazione del pavimento pelvico e nelle disfunzioni sessuali femminili, le psicologhe Francesca Buonocunto e Azzurra Carrozzo e lo psicoterapeuta e sessuologo, Michele Massimo Laforgia».
L’inclusione passa dalla formazione
«Il confronto con i potenziali utenti per noi è stato centrale – spiega il team – In base ai sondaggi che abbiamo effettuato con loro abbiamo messo a punto il nostro business model che a oggi è per noi vincente. Per noi la formazione è fondamentale: educhiamo i nostri utenti al corretto utilizzo dei sex toys sia tramite la piattaforma che quando ricevono a casa l’oggetto. Per esempio, un determinato gadget se utilizzato con vibrazioni troppo potenti può danneggiare certi tessuti di chi ha una determinata patologia, o viceversa, se usato in modo troppo poco potente potrebbe essere inutile per altri». E anche in questo caso, il design gioca la sua parte: «Il piacere sessuale è anche visivo, uditivo, olfattivo, tattile, non soltanto penetrativo. Per queste ragioni abbiamo destinato molto tempo alle messa a punto del giusto design che gli utenti si aspettano da gadget di questo tipo. Se ti ritrovi con un oggetto inguardabile, come fai a provare piacere?».
Sex toys tra educazione e barriere
«Grazie alla collaborazione con alcune associazioni, come Vieni Al Punto! di Lecce e Zerobarriere abbiamo avviato una serie di progetti offline di educazione e inclusione che puntano alla creazione di impatto sociale – spiega il team – Nasciamo come e-commerce multibrand con l’idea che in futuro faremo qualcosa di nostro. L’anno scorso abbiamo iniziato a bussare alle porte delle istituzioni, con l’esigenza di portare l’educazione alla sessualità nelle scuole. Per adesso lo stiamo facendo con gli istituti superiori ma vorremmo partire dalle elementari. Allo stesso tempo, abbiamo bisogno di fondi». Le difficoltà che queste imprenditrici si sono trovate a dover affrontare (e con cui tutt’oggi devono fare i conti) non riguarda soltanto la carenza di fondi. «Oggi i tabù, piano piano, si stanno attenuando e c’è sempre più attenzione anche da parte delle istituzioni – concludono le co-founder – Attualmente vendiamo anche all’estero, ma riscontriamo tante difficoltà con l’online, in particolare con le pubblicità sponsorizzate perché veniamo categorizzate come categoria da bannare, perciò siamo costrette a fare comunicazione soprattutto offline. È un po’ come tornare indietro nel tempo». Ma questo team al femminile non si dà certo per vinto: «Porteremo l’educazione alla sessualità anche nelle strade e creeremo engagement con attività ludiche, oltre a implementare e approfondire la parte di consultazione con gli esperti. Adesso siamo a caccia di investitori e acceleratori e chissà che un domani potremo sbarcare anche oltre i confini nazionali».