Un volo diretto negli Stati Uniti per conquistare il grande mercato delle idee, dove il sogno americano abbraccia le startup di tutto il mondo, Italia compresa. Un Paese dove esportare i progetti e dal quale importare i finanziamenti e il know-how per realizzarli.
Joule, la scuola di Eni per l’impresa, ha organizzato l’Innovation Bootcamp in Silicon Valley con la collaborazione dell’Open Innovation Outpost di San Francisco – l’osservatorio di Eni per collaborare con le startup e scaleup internazionali più promettenti – e di Mind the Bridge – l’organizzazione internazionale che fornisce consulenza per l’innovazione a startup e aziende.
Una settimana a San Francisco per mettere in contatto le startup selezionate da Joule, con i più importanti investitori della Silicon Valley. Giornate di lavoro intense, una roadmap serrata di presentazioni, pitch, approfondimenti con i mentor per proporre idee e cercare finanziamenti per sostenere la crescita delle startup. Negli Stati Uniti le cifre disponibili per finanziare i progetti più interessanti sono incomparabilmente più alte rispetto ai mercati europei. In appena otto anni gli Unicorni sono passati da 80 a 900, con una valutazione di 1 miliardo di dollari. Nel 2021 in USA sono stati investiti 330 miliardi di dollari in startup tecnologiche, contro i 167 del 2020.
Spazi immensi e straordinarie opportunità di business.
Cosa serve per conquistare la fiducia in Silicon Valley
«Abbiamo selezionato 10 startup nei programmi di accelerazione di Joule con il supporto di Eni Next, il Corporate Venture Capital di Eni, per entrare nel contesto della Silicon Valley e ampliare le prospettive andando oltre il contesto europeo», spiega Domenica Surace, Head of Impact Assessment, Monitoring & Reporting di Eni Joule. «Le startup selezionate – aggiunge – sono impegnate nei settori dell’energia sostenibile e cleantech, quasi tutte a livello pre-seed. Abbiamo utilizzato parametri di selezione che sappiamo essere apprezzati negli Stati Uniti, come gli economics, il business plan, la sostenibilità finanziaria dei progetti. Le buone idee devono essere ben strutturate per attirare l’attenzione degli investitori nel mercato oltreoceano».
Crescita, prospettiva, matching tra idee e qualcuno disposto a investire risorse nei progetti di business più promettenti. L’Innovation Bootcamp in Silicon Valley è un ponte che non cade allo scadere della trasferta, ma continuerà a unire chi lo percorre, anche nelle prossime settimane.
«Joule segue un approccio equity free, il principale obiettivo è la crescita delle nostre startup mettendole nelle condizioni di costruire relazioni di business durevoli con investitori di grande rilievo internazionale. Siamo rientrati in Italia e in questi giorni i contatti con gli Stati Uniti stanno proseguendo. I team organizzano call e scambi di informazioni per rafforzare la relazione con gli investitori», racconta ancora Domenica Surace. «Tra i tanti aspetti positivi va sottolineato il cambio del mindset delle startup partecipanti. L’approccio con gli investitori americani – precisa infine – non deve essere troppo remissivo, si deve imparare a gestire una vera e propria negoziazione. Le parole chiave con le quali le startup descrivono l’esperienza negli Stati Uniti sono contaminazione, opportunità e sogno».
Sono stati giorni intensi, i team hanno esposto i loro progetti e si sono relazionati con i rappresentanti di importanti venture capital americani con l’obiettivo di attivare delle sinergie e capire come relazionarsi con investitori così esigenti.
«La settimana – commenta Valentina Raule, Impact Assessment PM in Joule – è stata itinerante, insieme ai mentor di Mind The Bridge i primi due giorni abbiamo adottato un approccio full training, introducendo i team nel contesto della Silicon Valley per trasferire alcune fondamentali conoscenze. E’ importante ad esempio saper gestire il rapporto con gli investitori, svolgere un pitch efficace, capire come valorizzare gli aspetti più interessanti dei progetti. In Italia le startup puntano molto sulle skills tecnologiche, mentre negli Stati Uniti gli investitori prestano attenzione agli aspetti finanziari e alla solidità del modello di business. Una volta conclusa l’introduzione, le startup sono state ospitate dai partner e i mentor hanno dato dei feedback individuali ai founder. La settimana – racconta Raule – si è conclusa con una giornata di matching, l’Investor day, per attivare una relazione che possa durare nelle prossime settimane condividendo i progetti delle startup con i business angel, venture capital, investitori professionali e potenziali clienti».
Finanziamenti, networking, ma non solo. I progetti che le startup hanno portato negli Stati Uniti sono tornati in Italia cambiati e migliorati. Un filtro selettivo in grado di trasformare una materia prima di buona qualità, in un progetto maturo. «Durante la settimana di lavoro – conclude Raule – i team hanno apportato profondi cambiamenti alle loro idee. Un cambio di mentalità ponendosi domande nuove e ripensando i modelli di business. Grazie agli stimoli e alle richieste dei mentor hanno smontato e rimontato i loro progetti.
Un percorso di successo per il quale è stato fondamentale il supporto dell’Outpost Eni di San Francisco, l’antenna di Open Innovation nell’ecosistema più innovativo del mondo, pronto a intercettare le opportunità interessanti per Eni»
Open Innovation Outpost nell’ecosistema più importante nel mondo
Salvatore Bonaccorso è responsabile dell’Innovation Outpost a San Francisco e ogni giorno si confronta con il dinamismo e lo straordinario impatto creativo ed innovativo dell’ecosistema delle startup americano.
«La mia esperienza nella Silicon Valley – osserva – è stata sin dall’inizio incredibilmente dinamica e stimolante: questo fazzoletto di terra è una combinazione strabiliante di capitali, spirito imprenditoriale, istituzioni universitarie di eccellenza e Big Tech e questo ecosistema, unico al mondo, favorisce la creazione di un ambiente in cui l’innovazione può prosperare. L’Italia, d’altro canto, vanta un incredibile patrimonio di talenti, creatività e competenze tecniche e le startup di Joule ne sono un fulgido esempio, tuttavia, pur essendo in rapida crescita, l’ecosistema italiano è ancora distante da quello della Silicon Valley in termini di accesso a capitale di rischio, collaborazione con l’industria e le università, e opportunità di scaling. Pertanto, le iniziative, come il programma congiunto tra Joule e l’Innovation Outpost di Eni a San Francisco, che collegano questi due mondi, sono fondamentali per aiutare le startup italiane, dando loro accesso ad una visibilità preziosa, a mentori di alto livello ed a potenziali investitori in grado di fornire il capitale necessario per portare queste idee alla prossima fase. Sono convinto – conclude Bonaccorso – che attraverso questo percorso, di cui il Bootcamp in Silicon Valley è stato il culmine, le startup di Joule abbiano potuto accelerare il loro sviluppo ed acquisire preziose competenze e connessioni che non contribuiscono solo alla loro crescita, ma alla crescita di tutto il sistema Italia».
La delegazione di Eni Sustainable Mobility: importare in Italia le best practice della Silicon Valley
All’Innovation Bootcamp in Silicon Valley ha partecipato anche la delegazione di Eni Sustainable Mobility, la nuova società dedicata alla mobilità sostenibile con l’obiettivo di fornire servizi e prodotti progressivamente decarbonizzati per la transizione energetica, accelerando il percorso verso l’azzeramento delle emissioni lungo il loro intero ciclo di vita. Un team di persone che ha partecipato al primo programma di co-innovazione di Eni insieme a ITA Airways ha affiancato i team a San Francisco.
«È stata un’esperienza molto utile per mettere a fuoco punti di forza e debolezza delle nostre startup e comparare due mercati così diversi, come quello americano e italiano», spiega Ester Minuto che si occupa dello sviluppo delle partnership in Eni Sustainable Mobility. «Abbiamo partecipato mettendoci nei panni degli startupper, adottando il loro punto di vista. Le dinamiche e le difficoltà che i team incontrano per convincere gli investitori a credere nei loro progetti, le conosciamo perché sono le stesse che viviamo all’interno di una grande azienda multinazionale come Eni. Le domande alla base di ogni progetto sono le stesse: è economicamente fattibile? È sostenibile? Anche noi ricorriamo ai pitch per raccogliere il commitment dei nostri manager. L’Innovation Bootcamp – conclude Minuto – ci aiuta a capire come importare e adattare il modello della Silicon Valley alle peculiarità del nostro Paese. Negli Stati Uniti gli investitori, se credono in un progetto, instaurano un rapporto molto stretto con gli startupper. Da questo punto di vista in Italia c’è ancora molto lavoro da fare».
Davide Di Paolo, Head of Digital Marketing & UX Design di Eni Sustainable Mobility, sottolinea l’importanza della metodologia della vocazione internazionale. «La Silicon Valley è spesso immaginata come una bolla chiusa, inaccessibile, ma non è così. A San Francisco abbiamo trovato apertura e interesse per le startup Italiane. Gli investitori hanno confermato le qualità tecniche e l’elevato livello delle competenze dei team, incentivandoli a migliorare gli aspetti più carenti come il marketing e i processi di vendita. Se le startup seguono un percorso strutturato e guidato da un advisor, possibilmente mescolando background differenti, se seguono una metodologia rigorosa che conduce a una serie di step successivi, possono farcela. Ma devono dotarsi – sottolinea Di Paolo – di una vocazione internazionale non rivolgendosi unicamente al mercato italiano. L’innovazione è la stessa in tutto il mondo: trovare soluzioni semplici a problemi complessi, con concretezza. Quella è la destinazione».