Il settore del tessile è, indubbiamente, tra quelli a più alto impatto ambientale e sociale. E si sta preparando a una rivoluzione con la nuova normativa EPR, ormai imminente. Se, attualmente, in Europa oltre il 78% dei rifiuti tessili finisce in discarica o viene incenerito (in totale per più di 5 milioni di tonnellate), in Italia ad oggi viene raccolto soltanto il 10% circa del totale di immesso al consumo (oltre 150.000 tonnellate su un totale di oltre 1 milione). Secondo quanto riferito da Alberto Canni Ferrari, Italy Country General Manager di ERP Italia: «Il consumo del tessile nell’Unione Europea aumenterà da 60 milioni di tonnellate a più di 100 milioni nel 2030. Oggi se ne intercettano circa 6 milioni, mentre in Italia stiamo parlando di circa 160mila. Pertanto, l’UE già nel 2023 aveva proposto una revisione della direttiva con responsabilità estesa dei produttori anche al tessile. Oggi vogliamo avvicinare gli stakeholders ed estendere i nostri servizi oltre continente».
Mentre il consumo di prodotti tessili è la quarta principale causa di impatto sui cambiamenti climatici, a livello mondiale si colloca al terzo posto per l’utilizzo di acqua e suolo. Il lavoro da fare è ancora tanto, ma ci sono realtà come il Textile Hub di Rho, il più grande impianto di riciclo tessile del Nord Italia, dove grazie ad attrezzature semi-automatizzate si recuperano capi usati e tessuti. Lo abbiamo visitato assieme a Giuseppe Finocchiaro, coordinatore della Rete Riuse che gestisce il Textile Hub e di cui fa parte una rete di cooperative sociali promossa da Caritas Ambrosiana, attiva nei territori delle diocesi di Milano, Brescia e Bergamo.
Questa nuova puntata con le startup a impatto sociale va alla scoperta di un hub dell’innovazione dove non si butta via proprio quasi niente.
Che succede nel Textile Hub di Rho?
Il Textile Hub di Rho, con una superficie totale di 12.000 mq, di cui 5.000 coperti, è in grado di trattare fino a 20.000 tonnellate di rifiuti tessili all’anno. «Destiniamo il 77-74% dei vestiti che arrivano qua al riutilizzo, il 22% al riciclo e quello che resta ad altri usi, avviandolo alle rispettive filiere», spiega Finocchiaro.
Con la nuova normativa, il sistema tessile e l’Europa dovranno raggiungere progressivamente: 15%, 25% e, entro il 2035, il 40%, con l’obbligo che l’80% dei rifiuti raccolti sia destinato a riutilizzo, riciclaggio e recupero. E per raggiungere questi traguardi, il ruolo dei consorzi è cruciale, dato che si pongono come facilitatori del sistema di raccolta, del riutilizzo e del riciclo che il Paese dovrà instaurare rapidamente. Un sistema che si basa sulla stretta collaborazione tra consorzi e produttori, garantendo il tracciamento dei rifiuti tessili e, di conseguenza, il processo di riciclo, che permetterà la generazione di nuova materia prima seconda e creerà un sistema win-win in grado di generare benefici per tutti gli attori: cittadini, produttori, retailer e filiera del riciclo. L’obiettivo è quello di creare un ecosistema deburocratizzato per i produttori e per i cittadini, facendo crescere un modello competitivo per stimolare l’innovazione tecnologica e un’infrastruttura logistica e industriale adeguata, necessaria per raggiungere i target imposti dall’Unione Europea. «Rete Riuse (acronimo di “Raccolta Indumenti Usati Solidale e Etica”) nasce nel 1998 in sinergia col comune di Milano per intercettare i rifiuti tessili – spiega Finocchiaro – Oggi, al suo interno, 10 realtà raccolgono più del 50% di questo tipo di materiale della Regione Lombardia».
Che tipo di rifiuti vengono trattati nel textile hub?
«In Lombardia, Rete Riuse gestisce 9 impianti per il rifiuto tessile – spiega il coordinatore Finocchiaro – Per prima cosa, abbiamo dovuto dare un processo alle tipologie possibili di tessile da gestire partendo, inizialmente, dal comune di Milano, per poi arrivare anche ad altri comuni della Lombardia e avviare una collaborazione anche a livello europeo. Per esempio, oggi siamo anche in sinergia con la Francia, nel re-fashion, con la Spagna, il Belgio, e abbiamo costituito una rete nazionale». Ma chi c’è a lavorare in Rete Riuse? «Siamo cooperative sociali a inserimento lavorativo e da noi almeno il 33% dei lavoratori sono persone che arrivano da situazioni difficili e hanno voglia di lavorare – spiega Finocchiaro – Il primo aspetto da dover tenere in considerazione è, di fatto, quello economico. Dobbiamo garantire posti di lavoro e ci siamo dotati di diverse regole. Tra queste, abbiamo deciso che una percentuale, variabile dal 10 al 15% dei nostri proventi, che destiniamo ad altre realtà sociali». Oggi Rete Riuse, con la cooperativa sociale Vesti Solidale, riesce a lavorare 97 tipologie di tessuti diversi.
Come funziona lo smistamento dei tessuti?
Partendo dai primi passaggi, nel textile hub di Rho arrivano i tessuti che i cittadini introducono nei noti “cassonetti gialli”, quelli pensati proprio per il riciclo e il riuso. «Ma si può anche richiedere a Vesti Solidale il ritiro domiciliare», spiega Finocchiaro, e precisa: «A oggi non abbiamo dati certi del fenomeno perché in Lombardia c’è una presenza di abusivismo impressionante, anche nelle gare, e il flusso di tracciabilità spesso viene interrotto. Noi rappresentiamo l’unica filiera italiana coordinata che si occupa di questi temi mentre da un punto di vista europeo, sono 50mila i produttori che aderiscono ai nostri collettivi. Tra questi c’è anche Amazon, che fa parte del consorzio». Ma a chi vanno a finire i capi destinati al riuso? «Dopo averli raccolti, ionizzati e selezionati li vendiamo a 4 impianti che li lavorano perché noi non ci occupiamo anche della lavorazione, eccetto la nostra “sartoria sociale” che, per esempio. costruisce delle borse dai tessuti che arrivano qua».
Cosa c’è nel futuro di Rete Riuse?
«Per quanto riguarda Vesti Solidale, vogliamo portare avanti questo modello con società del settore profit che ci facciano crescere». Come anticipato, con l’entrata in vigore della normativa, il Consorzio ERP Italia Tessile e Rete Riuse lavoreranno assieme per creare un ecosistema deburocratizzato sia per i produttori che per i cittadini, con l’idea di far crescere un modello competitivo per stimolare l’innovazione tecnologica e un’infrastruttura logistica e industriale adeguata e necessaria per raggiungere i target imposti dall’Unione Europea.
«Si tratta di un approccio che, per esempio, è già stato applicato con successo nella gestione dei RAEE e dei rifiuti di pile e accumulatori – conclude Finocchiaro – Un altro aspetto cruciale sarà il contributo dei consorzi nel campo della ricerca e sviluppo, grazie alla realizzazione di progetti congiunti con i produttori, finalizzati all’adozione di nuove tecniche di riciclo più efficienti per i rifiuti tessili ma non solo». Anche l’intelligenza artificiale fa la sua parte: «Vogliamo anche introdurre strumenti di AI per certe mansioni al fine di migliorare il lavoro dei nostri dipendenti».