Doppia intervista ad Antonia Verna e a Luca Gambini di Portolano Cavallo. Ecco spiegato il Subscription Agreement for Future Equity e la sua utilità per founder e investitori
«Abbiamo creato un modello di contratto scaricabile gratuitamente, per aiutare le startup in fase pre-seed/seed/early a raccogliere più facilmente e velocemente capitali. Anziché affrontare lunghe discussioni in merito alla valutazione dell’azienda in sede di esecuzione dell’investimento, con settimane di attesa che frenano il business, viene rimandato a un momento successivo l’ingresso in società dei primi investitori e la determinazione della relativa partecipazione e dei conseguenti diritti». L’avvocata Antonia Verna dello studio Portolano Cavallo ci ha introdotto così al Subscription Agreement for Future Equity (l’acronimo è SAFE), al quale hanno lavorato anche i team di Italian Tech Alliance, Growth Capital e Linklaters Italia. In questa intervista alla quale ha partecipato anche Luca Gambini (Portolano Cavallo) ci siamo focalizzati su uno strumento ripreso dall’estero e ancora poco conosciuto in Italia. I proponenti nutrono aspettative per facilitare la vita dei Founder, conquistandosi al tempo stesso la fiducia degli investitori.
Il contesto nazionale
Partiamo dal contesto italiano. Cosa succede in genere quando una startup in una fase pre-seed/seed/early lancia un progetto di raccolta capitali? “In fase pre-seed o seed – ha spiegato Verna – raccogliere cifre nell’ordine di centinaia di migliaia di euro comporta spesso lunghe discussioni tra le parti. Parliamo di settimane in cui fondatori e business angel negoziano clausole eccessivamente complesse data la fase in cui si trova l’azienda innovativa”. Il tempo è un elemento fondamentale, soprattutto quando il team è piccolo e l’idea ancora in fase di definizione. Ecco allora che per snellire questo processo gli esperti di Portolano Cavallo insieme ai colleghi di Linklaters, Growth Capital e Italian Tech Alliance hanno deciso di lavorare su un modello di contratto definito appunto Subscription Agreement for Future Equity.
«Una delle novità più importanti del SAFE italiano – ha argomentato Verna – è che l’investitore non diventa subito socio. Il business angel in Italia è abituato a eseguire l’investimento e acquisire la partecipazione sociale. Con questo contratto l’ingresso dell’investitore nella società viene posticipato ad una fase più matura dell’azienda per agevolarne la valutazione. Nel frattempo l’azienda ha la possibilità di concentrarsi sulla crescita del business senza dover gestire modifice alla corporate governance». Come ha specificato Luca Gambini, «questo passaggio può avvenire nel momento di un nuovo round, con uno sconto riservato a chi per primo ha puntato sull’azienda».
Come partire con SAFE
In tutto il SAFE, scaricabile gratuitamente a questo link, conta otto pagine complessive che puntano a diventare un framework di riferimento per la fase seed e pre-seed, adatto anzitutto a business angel e club deal. «Il problema in Italia – ha aggiunto Verna – è che ogni operatore utilizza documenti diversi. Così ogni volta bisogna passare da un modello all’altro. Noi vorremmo prendere spunto da quello che accade in UK, in Israele, ma anche nella vicina Svizzera. Un mercato con una modulistica unica, chiara e comprensibile che diventi peraltro interessante e attraente per gli investitori internazionali».
Un altro elemento che da Portolano Cavallo indicano come fondamentale nella proposta di SAFE è che il contratto non è un documento unico per tutti gli investitori coinvolti in quella fase di investimento. «Con il Subscription Agreement for Future Equity si può sottoscrivere un contratto per ciascun investitore – come ha specificato Gambini – evitando lunghe negoziazioni con tutti gli interlocutori per raggiungere un accordo sullo stesso documento».
Verso un modello standard
Se è vero che le startup avrebbero tutto l’interesse ad adottare questo strumento, occorre un percorso di sensibilizzazione dei business angel e in generale degli investitori, i quali dovrebbero accettare il rischio e posticipare l’ingresso in società in un secondo momento. «Un problema che riscontriamo in Italia è la scarsa propensione al rischio da parte degli investitori nelle fasi seed e pre-seed. Circostanza che produce contratti complicatissimi, pieni di clausole, fatti peraltro per somme minime di investimento», ha evidenziato Gambini.
A oltre dieci anni dalla prima legge sulle startup è evidente quanto sia cresciuto l’ecosistema. Sono aumentate le startup, i finanziamenti, il numero degli investitori (nazionali, istituzionali e internazionali). «Credo però che permangano delle criticità nel sistema – ha concluso Verna -. Le startup in Italia crescono fino a un certo punto e poi si scontrano con il problema della raccolta nella fase avanzata della loro crescita e sono spinte a rivolgersi a fondi growth stranieri». Al netto del SAFE, occorrerebbe fare un tagliando alla normativa complessiva? «Quel che occorre è una standardizzazione dei documenti auspicabilmente avallata da tutti gli operatori e dalle istituzioni pubbliche che renderebbe più facile le attività di raccolta di capitali».