Quale strada deve seguire un romano per andare ad Amsterdam? Nel caso di Riccardo Osti, classe 1985, ha previsto una tappa fondamentale a Trento. «Quando sono uscito dalla mia prima startup mi sono detto: facciamo un’altra azienda evitando gli errori che ho commesso. Mi sono imbattuto nell’application di un programma lanciato dalla provincia di Trento, Tech Peaks». L’anno era il 2013, ancora embrionale per l’ecosistema. «Ma avevano un bel budget: hanno attratto 40 talenti da tutto il mondo. Sviluppatori, designer, sales. Un mix di persone per trascorrere tre mesi, in un posto sulle Alpi. Lì è nata la prima idea di Wonderflow».
In questa nuova puntata della rubrica “Italiani dell’altro mondo” abbiamo incontrato un imprenditore che dopo un breve periodo post laurea in Italia si è spostato ad Amsterdam per far crescere la sua azienda. «Tra i ricordi più memorabili c’è quello di quando venne a trovarci un mentor all’acceleratore Rockstart. Aveva fatto un’exit al Nasdaq, era un tipo con un maglione di cashmere. Si sedette con me e il mio socio e disse: “Vi ringrazio per il tempo che mi state dedicando”. Pensavo ci stesse prendendo in giro. E invece era molto sincero».

Agli esordi dell’ecosistema italiano
Ma partiamo come sempre dagli inizi. Riccardo Osti è nato a Roma, dove ha studiato economia all’Università di Roma Tre. Dopo la laurea si è inserito nel settore marketing di un’azienda ma, come ci ha confidato, «preferivo imparare velocemente». E così a 27 anni ha deciso di lanciare una società di consulenza nel settore della digital transformation nella Capitale. «I nostri clienti erano aziende con l’obiettivo di fare un rebrandig per il mondo web».
Prima di lasciare Roma, si è cimentato in un’altra avventura. Quella che lui ha definito la sua prima startup. «Naroomi era una chat per siti web, ma non per dialogare col brand: si poteva chattare con altri visitatori della pagina». Anche qui l’anno aiuta: era il 2010, periodo per molti versi iniziale dello sviluppo digitale in Italia.
Quello che avrebbe trovato ad Amsterdam pochi anni dopo ancora mancava in Italia. «Non ci si frequentava tra startupper. La mia fortuna è stata incontrare sviluppatori molto talentuosi. Quasi tutte le cose che ho costruito accadevano insieme. Ma a Roma quei tempi non c’era una community. La sensazione generale era che chi faceva startup non volesse lavorare».
Perché Wonderflow?
Ritorniamo a quella tappa cruciale di Trento. Come è nata l’idea di Wonderflow? «Ci siamo resi conto dell’asimmetria tra ecommerce: volevamo costruire uno strumento per consentire a quelli più piccoli di competere coi giganti». Buona parte del successo di un acquisto si basava e si basa ancora sulla qualità e sulla quantità delle recensioni. «Abbiamo fatto un widget da installare sul sito: prendeva il nome del prodotto, cercava le recensioni online, i video che ne parlavano». E così confezionava informazioni utili per il consumatore.
A Trento ha costruito questo servizio insieme a un altro romano, incontrato lì, Giovanni Gaglione, attuale CTO di Wonderflow. E con lui ha deciso di fare application per Rockstart ad Amsterdam. «Prendevano 10 startup e ci sono state se non sbaglio 600 candidature. Ci siamo detti che era un’occasione imperdibile. Così abbiamo affittato una casa, con una sola camera da letto. Per sei mesi ho dormito insieme al mio cofounder». Ma al di là degli aneddoti sul team è la sostanza che ha fatto la differenza nelle giornate trascorse in quegli spazi.

Un parco giochi per startup
«La cosa eccezionale che ho avvertito è stato il cambiamento rispetto all’ambiente italiano. In un mese ho conosciuto un sacco di gente. C’erano imprenditori che hanno raccolto milioni, mentor ogni settimana». Una sorta di pivot è avvenuto – ma solo su carta – alla vigilia del demo day con una serie di colpi di fortuna. «Mi ero accorto che raccoglievamo dati dai consumatori ma ci facevamo poco. Pensavo: e se li analizzassimo che cosa verrebbe fuori? Con Photoshop ho realizzato un A4 su cui mi sono immaginato grafici, insight da estrarre».
Quel foglio è rimasto nello zaino il giorno del pitch, fino a quando non ha incontrato una rappresentante di Philips. «Dopo il mio intervento mi ha detto che l’azienda era in cerca proprio della soluzione che avevo immaginato il giorno prima. E la cosa assurda è che avevo messo una lampada Philips proprio come prodotto recensito». In due settimane i founder hanno dovuto mettere in piedi la nuova Wonderflow che avrebbe siglato accordi con altre società come Samsung e Pirelli.

Quanto vale Amsterdam per le startup
Pur essendo meno nota di altre capitali europee quando si parla di innovazione, Riccardo Osti è convinto di una cosa su Amsterdam. «Insieme a Berlino è la capitale delle startup nell’Europa continentale. Ci sono un sacco di unicorni: Mollie, Picnic, Backbase». Città a misura di bicicletta, la Venezia del nord è anche un posto ideale per i founder. «Hanno creato un playground, un parco giochi per startup, c’è grande facilità nella creazione di aziende. È un posto con distanze brevi, dove si creano relazioni con investor. La compattezza dell’organizzazione è il loro punto di forza».
Da qualche tempo Riccardo Osti ha lasciato l’incarico di Ceo di Wonderflow ed è tornato in Italia. Al suo posto c’è Gianluca Ferranti, «che ho conosciuto a New York molti anni fa durante una cena con imprenditori». Di nuovo a Roma, si impegna per investire in startup. «Quest’anno mi sono dato come obiettivo quello di aiutare imprenditori. Mi sono messo a disposizione di tre realtà finora, dalla robotica all’export con la Cina fino all’attrazione di expat per farli tornare in Italia. È il mio give back».