Mentre si combatte in Ucraina e a Gaza, in Asia si teme il rischio dell’apertura di un nuovo fronte e si rafforzano i rispettivi eserciti. Pechino continua a potenziarsi e Washington aumenta gli accordi di difesa coi Paesi partner
“L’Asia orientale rischia di diventare la nuova Ucraina”. Non capita spesso che le dichiarazioni ufficiali dei leader internazionali abbiano un peso specifico così importante da innescare dei processi, solitamente già avviati per conto loro. Anche in questo caso, forse, il processo era già cominciato. Ma non c’è dubbio che quando il premier giapponese Fumio Kishida ha pronunciato queste parole, nel giugno 2022 allo Shangri-La Dialogue di Singapore, qualcosa ha preso maggiore forma nella prospettiva dell’Asia orientale sul proprio futuro. La sensazione che i rischi della potenziale apertura di un nuovo fronte in quell’area ormai comunemente chiamata Indo-Pacifico non fossero più così remoti.
Certo, non è una novità la tensione sullo Stretto di Taiwan. Nemmeno quella sul mar Cinese meridionale o mar Cinese orientale, tra acque e isole contese. Non sono una novità nemmeno le schermaglie lungo la frontiera tra Cina e India. Così come è ormai decennale il processo di ammodernamento militare di Pechino. Eppure, la guerra in Ucraina e i timori espressi in modo esplicito da Tokyo hanno accelerato una tendenza al riarmo sospesa sul filo tra effetti di deterrenza o di maggiore tensione.
L’accelerazione dopo la guerra in Ucraina
Dopo gli anni dei dubbi di Donald Trump, che voleva ridiscutere tutti gli accordi di sicurezza e le spese in materia di difesa all’estero comprese quelle per i partner asiatici, Joe Biden ha nettamente cambiato passo. “Favoriti” dalla guerra in Ucraina e dai timori regionali di un crescente allineamento tra Cina e Russia, gli Usa hanno rafforzato in modo deciso i legami con gli storici alleati Giappone, Corea del Sud e Filippine. In alcuni i casi, in modo quasi impronosticabile visto quanto accaduto negli anni precedenti. Mirando persino a nuovi partner come il Vietnam.
Il Giappone è il Paese che si è mosso per primo e con più decisione. L’amministrazione Kishida sta apportando cambiamenti storici alla strategia di sicurezza nazionale. Ciò comporterà nuovi importanti investimenti nella difesa del Giappone, tra cui lo sviluppo di una capacità di contrattacco. Sono state aggiornate le esercitazioni congiunte con gli Usa, come Keen Sword e Resolute Dragon, per includere scenari più complessi e realistici. Ma soprattutto è stato annunciato lo schieramento di un migliaio di missili a lungo raggio con tecnologia statunitense nei prossimi anni.
“La sicurezza della Nato e dell’Indo-Pacifico sono inseparabili”, ha detto Kishida al summit annuale dell’Alleanza Atlantica in Lituania, dopo aver siglato un documento di cooperazione in 16 punti. Il testo contiene punti ambiziosi, compreso un rafforzamento dei rapporti in materia di sicurezza marittima. Aumenterà l’interoperabilità dei sistemi di difesa. I cantieri navali e gli hangar aerei giapponesi potrebbero aprirsi ai mezzi dei paesi Nato. L’amministrazione Kishida ha d’altronde siglato di recente accordi bilaterali anche con Regno Unito e Australia. Il segretario generale Jens Stoltenberg ha esultato: “Nessun altro partner ci è più vicino del Giappone”. Il segretario generale ha ribadito che l’apertura di un ufficio di collegamento a Tokyo resta sul tavolo, anche se la questione è rinviata dopo l’opposizione della Francia. Durante una visita alla Casa Bianca, Kishida ha firmato un’altra serie di accordi in materia di difesa con Biden. Tra le novità, lo sviluppo congiunto di un missile intercettore di nuova generazione per contrastare le testate ipersoniche di Cina, Russia e Corea del Nord.
Gli accordi con la Corea del Sud
Meno prevedibile che una decisione simile sia stata mostrata anche dalla Corea del Sud. L’ascesa al potere del conservatore Yoon Suk-yeol, nella primavera del 2022 a poche settimane dall’invasione russa, ha cambiato drasticamente la tradizionale cauta postura di Seul, solitamente attenta a mantenere buoni rapporti con la Cina per puntare al dialogo con la Corea del Nord. Da quando è entrato in carica, Yoon ha lanciato la prima strategia dell’Indo-Pacifico della Corea del Sud. Obiettivo: rafforzare la deterrenza nei confronti della Corea del Nord e partecipare alla strategia di contenimento della Cina.
Come Kishida, anche Yoon è stato ricevuto alla Casa Bianca. Qui ha sottoscritto con Biden la “Dichiarazione di Washington”, che impegna gli Usa a rafforzare il loro sostegno militare alla Corea del sud. Ma anche ad aumentare il dispiego di armi e mezzi a capacità nucleare come “deterrenza” nei confronti della Corea del Nord. Già inviato un sottomarino con missili balistici nucleari nelle acque della penisola coreana, per la prima volta dagli anni Ottanta. Previsto anche un irrobustimento delle esercitazioni congiunte, mentre Washington garantisce anche di fornire a Seul maggiori informazioni sulla sua pianificazione nucleare in caso di conflitto con Pyongyang.
Seul ha firmato accordi anche con l’Australia (che nel frattempo riceverà sottomarini a propulsione nucleare nell’ambito dell’accordo trilaterale AUKUS con Usa e Regno Unito) per aumentare gli scambi militari. Seul parteciperà alle esercitazioni australiane, dalle manovre annuali dell’Indo Pacifico ai nuovi test sottomarini. Sul tavolo anche diversi contratti. Le aziende sudcoreane mirano alla fornitura di veicoli corazzati per l’esercito australiano. E il colosso Hanwha dovrebbe presto avviare la costruzione di una fabbrica vicino a Melbourne. Con la Nato è stato firmato invece un accordo in 11 punti che si concentra su cyberdifesa e nuove tecnologie.
Tra Taiwan e Filippine
Le novità sono anche sul fronte trilaterale, visto che Corea del Sud e Giappone hanno messo da parte la guerra commerciale e diplomatica degli anni precedenti sotto pressione di Washington. Il summit di Camp David dello scorso agosto ha suggellato il rilancio dell’alleanza a tre teste, con già diversi round di manovre navali e aree congiunte nei mesi successivi. Annunciato anche un accordo per la condivisione in tempo reale dei dati sui missili nordcoreani. E si prevedono nuovi passi dopo il recente lancio in orbita del primo satellite spia di Pyongyang.
C’è poi Taiwan. Negli scorsi mesi, la Casa Bianca ha annunciato il primo invio di aiuti militari a Taipei basato sull’autorità presidenziale, la stessa che Joe Biden ha utilizzato a più riprese per l’Ucraina. Poi ha approvato per la prima storica volta l’invio di aiuti militari riservati solitamente a Paesi sovrani riconosciuti dalle Nazioni Unite. Solo 80 milioni di dollari, che non bastano certo a cambiare gli equilibri militari che sono sempre più sbilanciati a favore di Pechino. Ma a livello simbolico si tratta di un segnale importante: non si tratta di vendite o prestiti come sempre sin qui, ma di soldi provenienti dai contribuenti americani.
Al via anche l’addestramento in terra statunitense di battaglioni di terra taiwanesi. Per i media taiwanesi sarebbe vicina anche l’acquisizione del sistema di comunicazioni tattiche Link 22 dotato di tecnologie Nato. Un passo ritenuto fondamentale, visto che Taiwan non dispone di un proprio sistema satellitare. Nei mesi scorsi si era parlato anche di un possibile deposito di armi sull’isola. Allo stesso tempo, Taipei ha sviluppato il suo primo sottomarino autoctono.
Non è certo finita. Il meno prevedibile degli sviluppi è stato il grande rilancio dei rapporti militari con le Filippine, che durante la presidenza di Rodrigo Duterte si erano molto indirizzate verso la Cina. L’arrivo di Ferdinand Marcos Junior ha cambiato tutto. Manila ha concesso libero accesso alle truppe americane in 4 sue ulteriori basi. Le esercitazioni congiunte di quest’anno sono state le più vaste di sempre, mentre sono state avviate trattative per sviluppare un porto civile nelle remote isole più settentrionali dell’arcipelago, quelle più vicine a Taiwan.
Gli accordi con Vietnam e India
Persino il Vietnam, antico rivale degli Usa, ha dovuto aggiornare la propria strategia. A settembre, Biden si è recato ad Hanoi per una visita storica, venendo ricevuto alla sede del Partito comunista vietnamita. Boeing e Lockheed Martin erano al seguito, per provare a chiudere nuovi contratti di fornitura per un Paese rimasto in larga parte orfano dei rifornimenti del tradizionale partner, la Russia, a causa della guerra in Ucraina. A differenza dei vicini, pur rafforzando la propria presenza sulle acque e isole contese con la Cina, Hanoi mantiene comunque una linea diplomatica più equidistante. Ma l’elevazione dei rapporti bilaterali con Washington resta un segnale rilevante.
Quanto all’India. Durante la visita del premier Narendra Modi alla Casa Bianca, sono stati annunciati una serie di accordi in materia di sicurezza. Via alla produzione congiunta di motori a reazione F414 in India, con la partecipazione di General Electric e Hindustan Aeronautics. Accordi anche per la riparazione navale che porteranno a risparmi di costi e di tempo per le forze armate statunitensi, consentendo alle navi della Marina degli Stati Uniti di essere revisionate e riparate nei cantieri navali indiani.
Aumentato in maniera netta il trasferimento tecnologico, con il via libera a produzione congiunta di tecnologie di difesa. In precedenza, gli Usa avevano già messo a disposizione dell’India propria tecnologia satellitare, utile ai “movimentati” confini con Cina e Pakistan, ma anche a ridurre la forte dipendenza del Paese dalla Russia per le forniture militari.
A inizio novembre, durante una ministeriale 2+2 di Esteri e Difesa a Nuova Delhi, è stato annunciato anche un accordo da oltre 3 miliardi di dollari per l’acquisto da parte dell’India di 31 droni armati prodotti da General Atomics. Secondo i media indiani, Washington avrebbe offerto diversi sistemi di veicoli da combattimento per la fanteria, nonché la famiglia di corazzati a otto ruote Stryker, prodotti dalla General Dynamic Land Systems.
La crescita militare cinese
Dall’altra parte, ovviamente, la Cina non resta a guardare. Dopo gli enormi sviluppi degli ultimi anni continua a perseguirne altri. Secondo l’ultimo report annuale del Pentagono, Pechino ha ampliato in modo significativo il suo arsenale nucleare nel corso dell’ultimo anno e ora detiene circa 500 testate operative, sperando di raddoppiare il suo arsenale fino a oltre mille testate entro il 2030.
Pechino, che rimane impegnata in una politica nucleare “no-first-strike“, ha ancora scorte nettamente inferiori a Russia e Stati Uniti ma il ritmo di crescita è davvero notevole. Non solo a livello quantitativo, ma anche qualitativo. Compreso il fronte navale. Qualche settimana fa la nuova portaerei cinese Fujian ha iniziato i test di lancio a “carico morto” del suo sistema di catapulta elettromagnetica, un passo fondamentale verso la sua piena operatività. Il futuro dell’Asia si spera resti pacifico, ma pare proprio che tutti si preparino a un potenziale conflitto, pur sperando di non doverlo mai combattere.