«Quando sono stato nominato in Pakistan mi era stato richiesto di aprire un profilo». Come sta evolvendo il lavoro diplomatico? Dal nostro inviato a Giffoni intervista all’ex alto rappresentante civile della NATO in Afghanistan Stefano Pontecorvo
Una carriera diplomatica iniziata nel 1985, passata a lavorare in ogni angolo del mondo, con successi e momenti decisivi per la carriera. Come lo scorso anno, a Kabul, dopo che la ritirata statunitense e l’avanzata dei Talebani avevano gettato il paese nel caos. In qualità di alto rappresentante civile della NATO in Afghanistan, Stefano Pontecorvo ha organizzato e portato a termine l’evacuazione di 120mila persone mettendosi a capo di una struttura operativa in tempi record. Ex ambasciatore in Pakistan, è stato anche vice capo missione all’ambasciata Italiana a Londra, vice direttore generale per l’Africa Sub-Sahariana al ministero degli Affari Esteri italiano e vice capo missione all’Ambasciata Italiana a Mosca. StartupItalia lo ha intervistato per ragionare di come il ruolo del diplomatico sta cambiando o dovrebbe cambiare, con particolare attenzione anche all’aspetto della comunicazione.
In una precedente intervista ha detto che un ambasciatore vende il proprio paese. Le è mai capitato di vendere l’Italia anche come luogo di innovazione?
Stefano Pontecorvo: «Purtroppo no. Bisogna tener presente che le nostre ambasciate sono strutturate in un modo tale che non hanno una penetrazione economica e commerciale così profonda. Mancano strumenti e personale per farlo. Spesso sono sottodimensionate. Credo ci sia una chiusura nei confronti dell’assorbimento di esperti esterni, ma c’è un quadro normativo complicatissimo. Va evidenziata l’evoluzione lenta di come si fa il diplomatico oggi».
È senz’altro tra gli ambasciatori più attivi sui social, in particolare su Twitter. Qual è il motivo alla base di questa scelta?
Stefano Pontecorvo: «Quando sono stato nominato in Pakistan mi era stato proprio richiesto di aprire un profilo Twitter. All’epoca c’era il governo Gentiloni. Ma è da anni che c’è attenzione su questo fronte. Ritengo che i social siano un ottimo modo per far conoscere quel che si fa e il proprio paese. Mi ricordo che i miei follower hanno iniziato ad aumentare quando, a Islamabad, ho cominciato a pubblicare foto di borghi italiani. Twitter, Facebook e Instagram sono diventati strumenti anche per il mestiere del diplomatico. Ovviamente noi li utilizziamo ancora in una maniera artigianale. Bisognerebbe dare un certo grado di professionalità».
Another day in #Kabul HKIA airport. Situation under control #Afghanistan pic.twitter.com/PewkXN5F16
— Stefano Pontecorvo (@pontecorvoste) August 17, 2021
Parlando proprio di competenze, ci sono mestieri che nella politica estera scarseggiano e di cui ci sarebbe bisogno?
Stefano Pontecorvo: «In senso generale c’è bisogno di tutto. Siamo sottodimensionati nei confronti di partner, concorrenti e di paesi più piccoli in Europa. Questo perché altri ricorrono ad altre professionalità, anche dalla società civile. Stiamo evolvendo in una maniera così veloce che la programmazione è diventata difficile. I ministeri non sono flessibili. Bisognerebbe avere sempre un approccio più tagliato alla realtà locale in cui si opera».
Climate change is never a neutral dynamic even for advanced economies https://t.co/zx8lZfvshB
— Stefano Pontecorvo (@pontecorvoste) July 24, 2022
Nel corso della sua carriera ha dialogato con moltissime aziende. Ma ci può fare l’esempio di un paese che sta investendo in tecnologia e che, forse per provincialismo, non consideriamo molto?
Stefano Pontecorvo: «Il Pakistan è un paese estremamente importante: 220 milioni di abitanti, di cui 80 appartenenti alla classe media. È un paese avido di sicurezza: andando a guardare le statistiche sul piano di industria nella difesa è passato da oltre il 60esimo posto ai primi al mondo. In Pakistan venni aiutato moltissimo dal sottosegretario agli Esteri Ivan Scalfarotto che venne con ICE e Confiudustria. Abbiamo dato un grande impulso al commercio bilaterale».
Ritorniamo in chiusura all’Italia. Sempre in base alla sua esperienza, quali sono i freni principali agli investimenti nel nostro paese?
Stefano Pontecorvo: «L’Italia si fa del male da sola. L’instabilità politica conta molto nel calcolo degli imprenditori che investono. Cito poi la farraginosità delle leggi, l’opacità del sistema di tassazione e la fiscalità. E poi la magistratura, che è quella che è. Infine la rigidità del mercato del lavoro. Stando così le cose, è difficile vendere l’Italia».