Dalla cameretta di Perth al successo globale con Canva. Perkins ha reso il design accessibile a chiunque, costruendo un unicorno da miliardi senza mai cedere agli stereotipi di genere. Determinata, inclusiva, visionaria: una self made woman che ha cambiato le regole dell’imprenditoria e dimostrato che si può scalare il mondo partendo da una piccola idea. Nell’episodio, il contributo della professoressa di Semiotica e Storytelling, Giovanna Cosenza.
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Le storie di successo, anche quelle destinate a rivoluzionare lo status quo, iniziano in pochi metri quadrati. Perché non hanno bisogno di spazi grandi. Tutt’altro. E’ il cervello fino che fa la differenza. Ecco, in questa storia tutto inizia da una piccola, piccolissima stanza a Perth, quarta metropoli australiana, poco più di due milioni di abitanti, estati calde, inverni temperati. Qui, nella primissima periferia est della città, c’è una casetta. E nella casetta una cameretta dei giochi, diventata col tempo molto altro. Ad occuparla, da bambina, è Melanie Perkins. La mamma è un’insegnante, il padre è un ingegnere. Ma lei non seguirà le orme nè dell’uno e nè dell’altro. Perchè Melanie Perkins diventerà founder e CEO di quella che oggi conosciamo come Canva. Una tra le realtà più incredibili nell’ecosistema del tech mondiale.
Melanie Perkins è una dei nostri BAD BOYS – QUEI “CATTIVI RAGAZZI” ALLA CONQUISTA DEL MONDO, il nuovo podcast in sei puntate firmato StartupItalia. Io sono Giampaolo Colletti e insieme a Chiara Buratti e Alessandro Di Stefano – e con molti altri esperti – ti racconto le vite di sei protagonisti che hanno lasciato il segno nella storia dell’innovazione. Figure che affascinano e che dividono, che ispirano e che disturbano. Perché hanno infranto le regole, ridefinito i limiti, rivoluzionato i mercati. Ma lo hanno fatto sempre ai limiti. Alcuni sono partiti da un garage, altri da un’aula universitaria, altri ancora da contesti lontani e impensabili per la Silicon Valley. Sono i bad boys della tecnologia globale, espressione della “bro-culture”. Visionari. Spietati. Geniali. E proprio per questo capaci di cambiare tutto. Buon viaggio nei BAD BOYS. Perché nel bene e nel male i cattivi ragazzi costruiscono il futuro.

A soli 14 anni quando lancia la sua prima attività: vendere sciarpe fatte a mano nei mercatini locali. Non è il suo sogno e Melanie già lo sa, ma l’appassiona e la contraddistingue rispetto ai suoi coetanei che hanno ben altre priorità. Questo è il suo primo approccio al mondo imprenditoriale, e non va affatto male. Melanie ha una dote innata: saper vendere. Ma non è solo questo il suo sogno nel cassetto, vuole anche diventare una pattinatrice professionista. Così, prima della scuola, di buon mattino, intorno alle 4:30 si sveglia e si allena. Poi doccia, studio, rientro a casa, di nuovo studio e tanti progetti in testa.
Durante gli studi alla University of Western Australia in comunicazione, psicologia e commercio, Melanie lavora come tutor grafica. In quel momento si accorge di quanto siano complicati i software come Photoshop per chi non ha competenze tecniche. E arriva l’intuizione: “Se il design fosse accessibile a tutti?”
A 19 anni abbandona l’università e, insieme al suo compagno Cliff Obrecht, fonda Fusion Books, una piattaforma per creare annuari scolastici con un semplice sistema drag-and-drop. Il progetto cresce, si espande, in Francia e Nuova Zelanda, e diventa il trampolino di lancio per qualcosa di molto più grande. Insomma, il meglio deve ancora venire.
Nel 2010, Melanie incontra l’investitore Bill Tai a una conferenza e lui la invita a San Francisco. Tai ha tralasciato un dettaglio singolare che ben presto Perkins scoprirà: fa networking cavalcando le onde su un kitesurf.
Melanie, pur non avendo mai praticato quello sport, non si fa spaventare e si lancia tra le onde per entrare in contatto con potenziali investitori.
Nel 2013, proprio mentre è alla ricerca di investitori della Silicon Valley nel mare dei Caraibi, accade una brutta vicenda. La sua vela da 9 metri si sgonfia, e lei rimane alla deriva per ore in balia di una forte corrente. Sarà in quell’occasione che conoscerà Cameron Adams, ex dipendente Google e nuovo imprenditore di Sydney che diventerà il terzo cofounder, assieme al marito, di Canva, lanciata ufficialmente lo stesso anno.
Ma il decollo di Canva non è immediato. Perkins dovrà ricevere un centinaio di “no” prima di ottenere i fondi per lo sviluppo della sua idea.

Nel suo primo pitch, Perkins usa la metafora della pizza: “impasto = tipo di documento, condimenti = elementi grafici”. Funziona. Il primo round di finanziamento è così convincente da attrarre l’attenzione di investitori che si mettono in fila per dare il loro contributo a quello che si rivelerà un successo assoluto.
Oggi Canva è una piattaforma utilizzata dall’85% delle aziende a livello globale e conta milioni di utenti, oltre a una valutazione da capogiro stimata in 24 miliardi di euro. E Perkins, 37 anni, è tra le donne più ricche d’Australia.
Da sempre attenta al gender gap, nel corso degli anni, ha implementato una serie di politiche inclusive in azienda. Oggi il 41% dei suoi dipendenti è donna.
Quell’intuizione di rendere il graphic design accessibile a tutti e, allo stesso tempo, fornire strumenti premium di altissima qualità si è rivelata vincente. Accessibilità e usabilità sono state, quindi, le chiavi del suo progetto che ha conquistato anche la Silicon Valley. Ma oggi che rapporti ha Perkins con l’amministrazione americana?

Nel 2019, il futuro marito, Cliff Obrecht, le propone di sposarsi in Cappadocia. Il giorno del matrimonio si presentano con anelli che costano 30 dollari. Un episodio che la dice lunga sul loro attaccamento alle cose materiali. Melanie e Cliff aderiscono al Giving Pledge, una sorta di “patto morale” lanciato nel 2010 da Bill Gates e Warren Buffett per incoraggiare i super-ricchi del mondo a donare almeno metà del loro patrimonio a cause filantropiche.
Quella di Perkins è la storia di una vera self made woman tra le pochissime CEO a capo di un unicorno.
Non ha solo creato un’azienda, ha costruito un movimento, rotto i trend, dimostrato che l’età, il genere e le origini non sono ostacoli, ma punti di forza. E poi ha reso il design grafico uno strumento alla portata di tutti.


