«Quando sono arrivato al Parlamento Europeo la guida autonoma era fuori dalle priorità politiche. Ogni ragionamento sull’automotive era limitato all’impegno sulla lotta per ridurre le emissioni». Pierfrancesco Maran, dal 2024 eurodeputato e in precedenza assessore a Milano nelle giunte prima Pisapia e poi Sala, si è occupato di mobilità urbana a lungo.

Da alcuni mesi sui social mette in evidenza l’urgenza che l’Europa recuperi terreno su una delle diverse tecnologie di frontiera. I robotaxi sono presenza quotidiana in diverse città della California e del Texas. Al netto di alcuni incidenti di percorso – come il crollo di Cruise – società come Waymo (Google), Tesla e Zoox (Amazon) hanno messo su strada i propri mezzi a guida autonoma. L’Europa e l’Italia, secondo Maran, hanno ancora margine per agire, ma il gap si sta allargando. «Spero che con il nuovo bilancio e gli indirizzi della Commissione ci si concentri su 3/4 progetti europei. Tutto questo per indirizzare i capitali privati».

Maran, che cosa sta facendo oggi il Parlamento Europeo per facilitare questa tecnologia?
Il motivo per cui me ne sto occupando con tanta energia deriva dal fatto che l’argomento era fuori dalle priorità politiche quando sono arrivato. C’è grande attenzione sull’automotive, ma quasi esclusivamente sul tema delle emissioni. In questa rivoluzione della mobilità la parte più rilevante sta nel software e può contribuire a ridurre il parco auto. Traguardo che, evidentemente, comporterebbe una riduzione delle emissioni.
L’automotive europeo è però in crisi da tempo. L’elettrificazione e il fronte guida autonoma rischiano di impattare sull’occupazione?
Dipende dal tipo di occupazione di cui parliamo. Questa svolta, mi riferisco alla guida autonoma in particolare, causerà profonde trasformazioni. Da un lato alcune professioni cambieranno. Ma la vera questione critica è che tutte queste tecnologie non vengono sviluppate in Europa. Per questo uno dei nodi riguarda gli investimenti e i capitali.

Stati Uniti e Cina sono avanti rispetto all’Europa. Stellantis ha sospeso i programmi sulla guida autonoma. Resta Volkswagen con MOIA?
Se dovessi trovare un punto di svolta e un motivo vero per aver fiducia è proprio quanto fatto da VW. Ora c’è un soggetto europeo che inizia ad avere dimensioni comparabili a soggetti medi asiatici e americani. L’assenza di un player di questo tipo sarebbe un grande limite.
E cosa pensa degli eventuali freni all’innovazione derivanti dalle regole e dalla burocrazia europee?
A mio avviso non sono le regole che consentono o meno di sperimentare le auto a guida autonoma. Il problema è la disponibilità scarsa di capitali di investimento nella ricerca. Le risorse pubbliche non sono ingenti e vengono distribuite in una miriade di piccoli progetti di piccole dimensioni. In America ci sono cinque soggetti che hanno investito almeno 1 miliardo.

Ma rimaniamo sulle regole europee…
C’è un fondo di verità. In Europa c’è grande propensione a regolare fenomeni e regolare i rischi. Ma non è a mio avviso sbagliata. Le auto a guida autonoma provocano molti meno incidenti per chilometri percorsi rispetto alle auto guidate dalle persone. Ogni volte che si verifica un’incidente l’opinione pubblica però si allarma. Questo significa che bisogna avere grande cautela nel proteggere questa tecnologia da una cattiva percezione. In sintesi serve un approccio graduale.
Restano però differenza al momento abissali con gli Stati Uniti.
I capitali privati sono un elemento centrale. La presenza di gruppi come Amazon, Google, Uber, Tesla che investono sapendo che il ritorno non arriverà magari prima di dieci anni è cruciale. È vero che c’è grande libertà di sperimentazione tra California e Texas, ma oggi in Europa sono ammessi i test in Germania e Repubblica Ceca. Torno a dire, le regole non sono il problema. Rilevo l’assenza di importanti capitali di investimento.

Poniamo che domani l’Europa possa contare su mezzi a guida autonoma. Dove punterebbe a farli circolare?
Bisogna concentrarsi sulla domanda debole. A Milano e Roma, per esempio, c’è un trasporto pubblico che degrada moltissimo nelle ore notturne come qualità del servizio. Ci si potrebbe concentrare su piccoli bus. E se usciamo dalle aree urbane, nelle zone interne, un servizio pubblico simile significherebbe restituire la possibilità alle persone di spostarsi.
L’Italia, realisticamente, che carte può giocarsi?
Abbiamo alcuni asset: mi riferisco a tre università – Milano, Torino e Modene e Reggio Emilia – che hanno competenze per mettere insieme team di qualità, prima che i ricercatori decidano di andare negli Stati Uniti. Ci sono risorse pubbliche nazionali ed europee per un grande progetto. Serve un lavoro di squadra: bisogna individuare investitori privati che credano in un unico progetto italiano. Servirebbe un impegno da parte del governo. Il problema è che il nuovo Codice della Strada avrebbe potuto essere il primo a parlare di nuove forme di mobilità. E invece è stato l’ultimo Codice del Novecento.

Da qui a fine legislatura per cosa lavorerà su questo ambito?
Non so se servirà un Act specifico sulla guida autonoma come per l’Intelligenza artificiale. In generale farebbe bene dotarsi di una autorità della mobilità che abbia il potere di armonizzare i Codici della strada dei 27 Paesi membri. A volte non abbiamo abbastanza Europa. Dall’altro lato io spero che con il nuovo bilancio e con gli indirizzi che la commissione si sta impegnando a dare sulla guida autonoma nel 2026 ci si concentri su 3/4 grandi progetti europei.

