Da oltre dieci anni i social raccontano e testimoniano le manifestazioni. Le emoticon disponibili sulla tastiera ne diventano spesso simboli
Fin dalle proteste durante le Primavere arabe – tra 2010 e 2012 – i social hanno rappresentato uno strumento prezioso per chi protesta. Oltre dieci anni dopo le piattaforme costituiscono ancora un mezzo per diffondere un messaggio. A seguito dell’attacco di Hamas del 7 ottobre e della conseguente reazione bellica di Israele, da Instagram a TikTok, passando per X e Facebook si è tornati a parlare di un simbolo, una emoji, che rappresenta da anni la causa palestinese. Stiamo parlando dell’anguria, i cui colori (nero, rosso, verde e bianco) combaciano con quelli della bandiera della Palestina. Come si legge su TechCrunch diverse persone inseriscono nei post l’emoji del frutto invece di scrivere parole come “Gaza”. Questo perché temono che il contenuto venga censurato.
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Negli anni sono diverse le emoji che hanno fatto la propria comparsa nei feed, raccontando l’angolo social delle manifestazioni. Durante le proteste a Hong Kong, nel 2014, i manifestanti che chiedevano più democrazia, protestando contro la Cina, aprivano gli ombrelli per proteggersi da lacrimogeni e spray urticanti usati da parte della polizia. In quel periodo sui social l’emoji dell’ombrello compariva in molti post. Lo stesso anno a Taiwan è nato il movimento dei girasoli, animato da giovani contrari al patto commerciale tra Taipei e Pechino. L’emoji del fiore veniva dunque spesso usata sui social come simbolo. Un altro caso di rilevanza globale è rappresentato infine dal movimento Black Lives Matter, formatosi negli Stati Uniti nel 2020 a seguito dell’omicidio di George Floyd. Le proteste dei mesi successivi hanno registrato sui social un elevato numero di post in cui compariva il pugno chiuso alzato in segno di protesta.