A mettere a punto il progetto di robot terapy sono stati quattro studenti del reparto informatica di un istituto di Jesi
Si chiama Estrabot ed è un robot umanoide che entra in sala operatoria con i piccoli pazienti della Fondazione ospedale “Salesi”. Grazie alla collaborazione tra l’istituto tecnico “Marconi Pieralisi” di Jesi e all’istituto Faà di Bruno di Marotta e al sostegno di Estra Prometeo, da qualche settimana i piccoli pazienti di questo sanitario all’avanguardia possono vivere con meno paura l’ospedalizzazione.
Estrabot è un amico robot che parla, canta e balla, racconta favole che piacciono ai ragazzi. In prima battuta Estrabot è stato usato per accompagnare i bambini nella fase della spirometria ma ora è pronto a fare da mamma scortando i degenti fino alla sala operatoria, dove i genitori non possono entrare. Estrabot accompagna i bambini nelle fasi più delicate dei loro giorni in ospedale: un “amico” che entra anche in chirurgia dando coraggio e un sorriso ai bambini.
Un robot nato dall’alernanza scuola/lavoro
Una sperimentazione davvero innovativa che va a spezzare una barriera che finora c’era tra la sala operatoria e il “fuori”. A mettere a punto il progetto di robot terapy tra l’altro sono stati quattro studenti del reparto informatica della “Pieralisi” che hanno messo il massimo dell’entusiasmo in questa impresa di alternanza scuola/lavoro certi di portare un po’ di felicità ai bambini dell’ospedale.
Un robot davvero speciale che è in grado di parlare con i bambini: la robot terapy d’altro canto è una forma di coo-terapia che serve ad alleviare il dolore. Alto 60 centimetri, Estrabot, è capace di entrare in empatia con ogni bambino. Il robot, in primis, cerca di stabilire un contatto visivo con chi parla, ha un algoritmo visivo molto potente in grado di captare le emozioni; in base a quest’ultime vengono combinate delle variabili. Inizialmente è stato impiegato in un solo reparto ma ora, vista la sua efficacia, è pronto a fare un salto di qualità. Indispensabile in questa operazione l’apporto economico di Estra Prometeo che ha donato all’ospedale l’umanoide e si è detta disponibile a seguire il progetto anche nella sua fase di manutenzione. Un progetto portato avanti da Giuliano Fattorini che ha spiegato come in questi anni abbiano lavorato con Estrabot nelle scuole con bambini normodotati e disabili.
Abbiamo parlato con il direttore della Fondazione Salesi, Carlo Rossi per comprendere meglio l’uso di Estrabot nelle corsie d’ospedale.
L’intervista
Com’è nata l’idea di utilizzare un umanoide in un ospedale?
La robot terapia è un’ulteriore strumento coerente di psicoterapia. In questo contesto oltre alla musicoterapia, all’arte-terapia, ai clown dottori, si lavora con il bambino in un sistema di relazioni accompagnandolo dentro l’ospedale a superare il trauma dell’ingresso. L’idea nasce dalla collaborazione con Giuliano Fattorini esperto di meccatronica. Con lui e la sua scuola, la fondazione ha fatto un’esperienza di alternanza scuola lavoro che ha permesso di preparare dal punto di vista informatico Estrabot.
Si tratta di un esperimento del tutto unico?
Estrabot ha un’efficacia singolare. L’operatore ha il compito di rendere flessibile l’umanoide per ciascun bambino. Quando il robot accompagna in sala operatoria il paziente usa una serie di dati che ha a disposizione del bambino per catturarne l’attenzione.
Prima di arrivare alla sala operatoria avete sperimentato Estrabot in altri reparti?
Abbiamo cominciato con i pazienti che arrivano qui per fare la spirometria. Il robot in questo caso li intrattiene facendogli provare la mascherina, spiegando loro cosa sta accadendo, mettendoli completamente a loro agio. Abbiamo testato l’efficacia di questo sperimento. E’ stato usato anche per i bambini con autismo. Con l’équipe del blocco operatorio abbiamo messo in piedi una ricerca per misurarne l’efficacia. L’idea è quella di usarlo un po’ in tutti i reparti.
Nella pratica che accade al bambino che deve operarsi?
Questo ospedale aveva già tentato di consentire alla mamma di seguire il bambino fino all’oblò della sala operatoria. Il robot non sostituisce l’affetto della mamma ma un po’ da surroga la fa. Prende per mano i bimbi e li porta in sala operatoria mettendo in atto azioni specifiche bambino per bambino. C’è un accompagnamento dal primo momento fino alla camera pre-operatoria. In tutto questo tempo viene costruita un’interazione che aiuta a scaricare la condizione di trauma.
Quali sono i prossimi obiettivi che avete con Estrabot?
Ora è in osservazione: dietro a questo robot c’è un lavoro di programmazione per la costruzione di intervento ad personam. Abbiamo dovuto formare il personale. L’operatore che ha direttamente a che fare con Estrabot è auno dei più bravi clown dottori: questo ci ha aiutato molto. Indispensabile anche il sostegno di Estra Prometeo che continua a seguire l’intervento anche ora che il robot è già in azione.