Lee ha 22 anni, vive e lavora in Zimbabwe. Grazie a KIVA, associazione non governativa americana, ha messo su tre attività e oggi combatte le multinazionali. Ma la campagna riesce ad aiutare altre donne imprenditrici al motto: “Invest in her, invest in change”
Nel pensare a una donna africana, subito la mente richiama l’immagine di una lunga figura femminile con un cesto sul capo e un bambino in spalla. Questo perché, in Africa, non è il lavoro a far parte della vita della donna, ma la vita a far parte del lavoro. Si è lavoratrice e figlia. Lavoratrice e moglie. Lavoratrice e mamma. In Africa la vita della donna è sempre lavoro.
Chi nasce donna alleva piccoli animali o realizza tessuti e utensili. Immersa in uno di quei vasti campi di manioca, mais o igname, la donna africana produce. Silenziosamente, senza prendersi alcun merito, quelle mani scure tengono in piedi le fondamenta della società.
Numeri, impressionanti
Secondo ricerche della FAO, circa l’80% del cibo, in Africa, è prodotto dalle donne. Il 90% della fornitura dell’acqua domestica e dell’immagazzinamento del raccolto si deve a loro. Numeri come questi dimostrano quanto fondamentale sia il ruolo femminile, malgrado la costante subordinazione a un uomo, che sia padre o marito. In Occidente se una donna lavora si emancipa.
Nonostante casi sempre più rari di maschilismo, la donna occidentale, lavorando, realizza se stessa, si rende indipendente e rivendica i suoi diritti di persona inserita nella società. In Africa, nella maggior parte dei casi, per una donna non vi è alcuna realizzazione attraverso il lavoro.
Invest in her, invest in change
Ecco perché Kiva, organizzazione non governativa statunitense, l’8 marzo, ha lanciato la campagna “Invest in her, invest in change”. Kiva, sin dal 2005, promuove azioni di microcredito in paesi disagiati, attraverso la raccolta di fondi via internet. Per l’organizzazione, finanziare la piccola imprenditoria femminile nei paesi più poveri è il primo passo verso il cambiamento sociale.
A testimoniarlo è la storia di Lindiwe.
Lindiwe è una di quelle donne combattive e forti, di ispirazione per qualsiasi altra. Ha 22 anni e vive in Zimbawe. In un paese così conservatore, Lee (è così che si fa chiamare), ha messo su un’attività grazie a Kiva. «Voglio che il mio nome arrivi lontano! Voglio avere il maggior numero di dipendenti che posso, in particolare ragazze. Le ragazze sono così importanti per me». Così, con entusiasmo e orgoglio, Lee parla dei suoi progetti.
Le tre impresse di Lee
E infatti, grazie a un corso di formazione fornito da un’organizzazione partner di Kiva, Camfed, e grazie a un finanziamento tramite crowfunding da parte di undici istituti di credito, Lindiwe ha avviato tre piccole imprese, sotto un’unica società, battezzata Lee Investements. Gestisce un allevamento di pollame, un negozio e, in fine, la produzione del Lee Juice.
Questo il nome scelto per il succo di frutta e la soda da lei prodotti.
«Ho fatto ricerche di mercato e ho pensato a quello di cui la gente aveva bisogno», dice. E ha trovato il prodotto con il giusto vantaggio competitivo, pensando agli operai che, assetati, escono dalla miniera vicino al suo villaggio. Così ha iniziato preparare succo e soda da zero, a un prezzo che è la metà di quello di un prodotto di marchio nazionale o internazionale.
Ogni bottiglia presenta l’etichetta Lee Juice, incollata a mano, e rappresenta il frutto di un lavoro portato avanti eticamente e con buon senso. Ogni bottiglia è, per Lee, il trofeo della sua vittoria. Nel suo negozio, tra decine e decine di bottiglie di plastica, ricorda quando andava a scuola senza scarpe e senza nemmeno una penna. Cresciuta in una famiglia povera, senza padre, ha lottato per affermarsi. E, nelle sue possibilità, ci è riuscita.
Il prestito ha potenziato il business. L’ho usato per fare solo 20 litri a settimana, solo 20!. Ora sono arrivata a produrne 200
Navigare, anche contro vento
Un marinaio non prega per il vento buono. Impara a navigare, diceva qualcuno. Lee ha imparato a navigare con vento veramente contrario. E lo sta facendo, ponendosi come modello per mostrare a tutti, in particolare alle altre donne, ciò che può essere conquistato perseverando nell’istruzione e lavorando sodo. Le realtà organizzative come Kiva e la voglia di imparare, tentare e riuscire di persone come Lee sono i segni di un cambiamento possibile.