Senza una gamba e appoggiandosi solo alle sue Katana, Andrea che è anche personal coach e imprenditore, si sta preparando a percorrere, da solo, i 900 chilometri che separano Aquileia da Genova, lungo la via Postumia, con partenza il 23 agosto.
Ci sono vite che, un giorno, all’improvviso si stortano, sembrerebbe per sempre. Il giorno zero di Andrea Devicenzi è il 28 agosto del ’90: lui ha 17 anni e quel martedì caldissimo la sua moto si schianta contro un’auto. Andrea muore per 50 secondi e quando rinviene, in un lago di sangue, sente uno strazio a cui non sa trovare un nome: la sua gamba sinistra ha dolori atroci e intanto si spegne. Gli verrà amputata.
Una resilienza fuori dal comune
Oggi Andrea Devicenzi ha 47 anni, ha una moglie, due bambine e una resilienza decisamente fuori dal comune. Senza una gamba e appoggiandosi solo a stampelle ipertecnologiche che lui stesso ha disegnato, si sta preparando all’ennesima avventura: percorrere, da solo, in 42 tappe i 900 chilometri che separano Aquileia da Genova, lungo la via Postumia, con partenza il 23 agosto, a testimoniare la resilienza italiana nella ricostruzione post Covid-19, riassunta in quell’#andràtuttobene esposto fuori dalle nostre finestre e incarnata così bene nella sua biografia: “Voglio raccontare l’enorme resilienza e l’umanità straordinaria del nostro Paese, che abbiamo dimostrato anche e soprattutto in questa immane tragedia sanitaria. Lungo il mio cammino incontrerò cittadini, associazioni, istituzioni: desidero che da ogni incontro, che documenterò sui social, emerga il ritratto dell’Italia minore, quella delle provincie, dei paesi, delle piccole comunità, di quei posti straordinariamente belli, generosi e tenaci che rendono unica la nostra Italia, anche se se ne parla poco. Ecco, con il mio nuovo progetto racconterò la bellezza e la forza di quei luoghi, nei mesi della ricostruzione post Covid-19”.
Ripartenze
E del resto, l’intera vita di Andrea Devicenzi è costellata dalle ripartenze e sembra così naturale associarla al momento che stiamo tutti vivendo, noi, il Paese. “Prima dell’incidente ero un ragazzo fortissimo, pesavo 82 chili, lavoravo già, ero posatore di pavimenti, come mio padre. Venivo dall’atletica leggera e dal calcio, adoravo andare in canoa, il mio ambiente era il mare”. Si racconta come il moto perpetuo Andrea Devicenzi, prima del giorno che cambiò per sempre la sua vita, privandolo di una gamba. “Dopo i lunghissimi mesi di ospedale, si aprì un abisso. Sapevo che non avrei più potuto fare il lavoro di sempre, era troppo fisico, e neanche gli sport… Non avevo una prospettiva a cui agganciare la mia vita. Il mondo era fatto su misura di chi aveva le sue gambe e io non sapevo neanche immaginarmi senza la mia”.
È la sua canoa a offrirgli il primo appiglio. “Vedevo i miei amici che si allenavano per la 54 kilometri tra Cremona – io sono di quelle parti – e Casal Maggiore. Io li guardavo e mi veniva voglia di essere tra loro, in fondo la canoa richiedeva un gran lavoro di braccia e le mie erano decisamente buone. La prima volta che risalii in canoa, la cosa più difficile fu lasciare la mano aggrappata alla zattera, avevo la mia bella paura, ma nell’attimo in cui mi staccai, ecco, capii che non tutto nella mia vita era perduto”.
Il coraggio di vivere “senza”
Già, la vita che ricomincia quando non ti aggrappi, quando fai a meno degli appigli. Sembra un controsenso, eppure oggi Andrea Devicenzi può dire di dovere la sua straordinaria carriera al coraggio di vivere “senza”. In primo luogo senza la sua protesi. “La tolsi gradualmente, mi distruggeva: percorrevo 500 metri e poi mi dovevo fermare. Qualcun altro magari si sarebbe accontentato di quel mezzo kilometro, ma io no. Io non volevo vivere così. Diedi l’addio ufficiale alla mia protesi tra i 26 e i 27 anni. Era solo uno scudo, ormai mi era chiaro. Senza, cominciai ad andare al mare, nuotando due kilometri al largo con gli amici; appoggiandomi alle stampelle – che sarebbero diventate le mie compagne di vita – mi inerpicavo sugli scogli…”.
Ma Andrea decide di vivere anche senza l’approvazione degli altri e senza la sicurezza dei cammini già tracciati. “Quando tolsi la protesi, andai contro il volere della mia famiglia, contrarissima, e degli ortopedici, che prevedevano che in dieci anni di stampelle mi sarei distrutto la schiena. Cominciai a capire che il mondo mi vedeva attraverso le sue convenzioni: da un disabile come me ci si aspettava che io stessi nei ranghi, indossassi pantaloni perfettamente à plomb con entrambi gli orli che toccavano terra, non importa che avessi due gambe o una sola. La parola che il mondo associava a me era Impossibile!”.
E ascoltando questa storia di resilienza straordinaria e coraggio inaudito viene davvero spontaneo sperare che il suo coraggio sia il coraggio di un intero Paese, in uno dei suoi momenti più drammatici della sua storia. “L’impresa di settembre, che ho chiamato Orme in cammino perché ciascuno di noi può lasciare segni importanti con le sue azioni, per me è un’impresa con cui seminare speranza e cambiamento”.
I primi successi sportivi
Del resto speranza e cambiamento sono le parole chiave di un’esistenza che ha saputo condurre dove voleva lui. E che lui racconta con entusiasmo. Dopo aver trovato un lavoro praticabile in un’azienda siderurgica, Andrea inforca le sue stampelle e la sua bicicletta e comincia a inseguire la vita dei suoi sogni e renderli, uno a uno, possibili. La prima strada che imbocca è segnata dallo sport. Andrea si allena, ci crede, migliora, alza l’asticella, migliora ancora, e poi ancora. Nel 2010 è il primo atleta amputato al mondo a percorrere in sella a una bici i 700 chilometri della carrozzabile più alta del mondo, la Manali-leh, in India, che si inerpica fino a quota 5062, poi arrivano altre avventure estreme e, poi ancora, diversi successi internazionali nel Triathlon, dove è tra i pochissimi atleti al mondo a correre su stampelle anziché con la protesi.
“Cadere è un insegnamento”
Andrea ha ormai trovato la chiave della sua esistenza: si ascolta, si affida alla sua volontà, si mette alla prova. Si sforza di imparare dagli errori quando fallisce, come quando non ce la fa a prendere parte ai Giochi Paralimpici. Capisce che la sua avventura esistenziale può diventare una sorta di metodo per chiunque sia alla ricerca della direzione giusta da prendere. Così studia per diventare Mental Coach. Oggi Andrea è Speaker motivazionale e lavora con diverse aziende in cui cerca di dimostrare, attraverso la sua storia, che anche obiettivi apparentemente impossibili sono raggiungibili, e che il sacrificio può essere divertimento, la fatica può diventare emozione. Incontra tanti ragazzi. “Tengo moltissimo al Progetto 22”, racconta, “con cui, dal 2014, vado nelle scuole di tutta Italia: finora ho incontrato 65.000 studenti, in 350 istituti. Ai ragazzi e alle ragazze dico che capisco le loro difficoltà, perché davvero tante ne ho attraversate anch’io. Ma a loro parlo soprattutto di sogni, di traguardi, di progetti. Li invito a guardarsi dentro, a cercare il proprio talento, a metterlo in gioco, a fidarsi di se stessi. E cerco di spiegare loro che cadere non è semplicemente un fallimento, è un insegnamento”.
La stampelle innovative Katana
Oltre che atleta paralimpico, coach e formatore, Andrea Devicenzi è oggi anche imprenditore e sta mettendo a frutto la sua lunga esperienza nell’utilizzo delle stampelle. “Per un lungo periodo, rientrato dal lavoro, la sera mi mettevo a studiare delle stampelle che non c’erano. Un prodotto che fosse innovativo, ergonomico, personalizzabile. Capace davvero di cambiare la vita delle persone, in primo luogo degli atleti, ma non solo”. Con l’impresa di cui è founder, La2ue2ue, incontra perciò imprenditori, sportivi, designer, medici. In una continua messa a fuoco di un oggetto suggestivo e unico come la sua storia, che oggi ha chiamato Katana. Sul suo sito campeggia la sua frase-bandiera: “Se n’è andata una gamba, ma non la voglia di vivere ogni giorno della mia Vita al massimo delle mie possibilità”.
È sostenendosi alle sue Katana che Andrea Devicenzi sta già in questi giorni allenando corpo e mente al cammino lungo la Via Postumia. Che sarà raccontato tappa per tappa da Gazzetta Active de La Gazzetta dello Sport e che lui spera possa riverberare anche l’attenzione degli stranieri su un’Italia che persino noi italiani conosciamo poco. “Sogno di sentire la gente di questa Italia al mio fianco: io voglio essere, in questo periodo che mi auguro sia di cambiamento positivo per tutti, il loro portavoce”.
Sanofi Pasteur e StartupItalia dichiarano che gli autori dei post e gli speaker che prendono parte alle dirette hanno ottemperato agli adempimenti previsti in tema di conflitto di interesse.