«In Italia molti sono gelosi dei propri contatti. Quando sono stata in Silicon Valley diversi mesi avevo la sensazione di essere entrata in una bolla. Lì funziona così: incontri qualcuno che ti chiede come ti chiami, che cosa fai e spesso ti suggerisce una persona che potrebbe interessarti. C’è dell’opportunismo, certo, ma fa muovere le cose». Per chi ancora non è mai stato in quell’angolo di mondo che da decenni associamo a innovazione e startup, questo ricordo di Francesca Cavanna fotografa in maniera inequivocabile una delle tante differenze tra noi e loro.

In questa nuova puntata della rubrica Italiani dell’altro mondo però non voliamo fino alla West Coast, ma restiamo affacciati sul Mediterraneo, in una delle capitali europee che da tempo sta attraendo talenti anche nel panorama tech. Francesca Cavanna a Barcellona è Managing Director per l’Europa di Mind the Bridge e, come ci ha spiegato, in Catalogna sarebbe dovuta rimanere solo poco tempo per poi dirigersi in California. Ma a questo ci arriviamo tra poco.

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Passione per l’estero

Nata a Biella nel 1992, ha studiato management a Torino e poi frequentato un master in strategia. «Durante l’università ho scoperto il mondo innovazione e startup». Così come la passione per l’estero: ha trascorso otto mesi in Giappone in un periodo di scambio. Francesca Cavanna è stata poi la dipendente numero 2 di una startup diventata grande, Lanieri. «Ho iniziato a lavorare con Simone Maggi. Per me è un mentor».

Nel raccontare una cosa oggi ovvia come digitalizzare la creazione di un completo da uomo, ha spiegato anche una lezione importante appresa da quella fase molto early stage. «Tutti fanno tutto e non esiste non sapere come si fanno le cose. Io avevo appena finito la triennale e non ne sapevo nulla di SEO. Simone mi ha dato un manuale da studiare e 20mila euro per gestire una campagna. Mi sono sentita davvero partecipe del progetto».

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San Francisco, poi di nuovo Europa

La formazione non è terminata nel suo percorso, dato che ha deciso di iscriversi a un MBA al Collège des Ingénieurs di Parigi. «Per come funziona ti permette di studiare sponsorizzata da aziende che ti assumono. Così sono entrata in Edison». L’esperienza corporate, così come nel settore della consulenza strategica non l’ha convinta a lasciare da parte il contesto startup e tech. «E poi continuavo ad avere questa voglia di andare all’estero. Ho incontrato Marco Marinucci di Mind The Bridge e in 15 giorni mi ha chiesto se volevo trasferirmi a San Francisco».

L’impatto con la Silicon Valley è stato notevole come raccontano tante testimonianze di italiani che vanno, rimangono là oppure ritornano con molta più esperienza (e contatti). «Fino a quando non ci fai i conti non capisci l’energia e le dinamiche. È una bolla in cui tutti parlano, mangiano e respirano tecnologia». Per alcuni potrebbe sorprendere che quell’ecosistema non sia poi così vasto secondo Cavanna. «In due mesi colleghi i puntini, capisci chi fa cosa». Del resto se tutti si parlano e si connettono aumentano le sinergie e il network.

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Identità e apertura al mondo

Barcellona è arrivata nel periodo della pandemia, quando Francesca Cavanna stava per partire definitivamente per gli USA, ma ha sfruttato la base catalana come trampolino di lancio. «Barcellona alla fine è diventata uno stop. Il mio primo lavoro qui è stato strutturare le operation in Spagna. Supportavamo diverse aziende per collegarsi con startup e trovare soluzioni innovative». Il territorio non è dei più semplici, considerando anche il forte elemento identitario. «Lo sforzo più importante era creare connessioni con i catalani per non essere l’azienda estera ospite a Barcellona. Volevamo diventare parte dell’ecosistema». 

E dunque conosciamolo più da vicino questo ecosistema. «In generale la Spagna è la quarta nazione in Europa per numero di startup dopo Francia, UK e Germania». A rendere peculiare il contesto iberico è la presenza di due poli: Madrid e Barcellona. Se nel primo caso c’è una forte presenza corporate, in Catalogna il focus è tech e startup. «Ci sono più di 1200 scaleup. Il 40% di quelle presenti in Spagna è qui».

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Cosa serve all’Europa per recuperare sul tech?

La forte identità locale non ha limitato l’apertura al mondo, anzi. «Attrae tanti talenti, proprio per questa dinamicità di hub del sud Europa». I settori più forti? «Healthtech anzitutto: ci sono dipartimenti di innovazione di grandi case farmaceutiche come Sanofi. E poi cito gli hub di Nestlé, HP e uno dei centri di supercomputing più grandi in Europa». L’innovazione ha anche bisogno di luoghi per farsi notare, come Station F a Parigi. «Barcellona Tech City è un grande esempio di collaborazione tra pubblico e privato».

Come abbiamo sentito di recente da Stefano Quintarelli, venture capitalist, il problema dell’Europa in generale non è l’assenza di talento o di startup. Francesca Cavanna ha condiviso questa considerazione. «Abbiamo un terreno fertilissimo, talento e le migliori università. Ma mancano i fondi late stage, quelli per fare crescere le aziende. Cosa ha fatto Klarna? L’IPO a New York. E ora anche Mistral AI viene vista con grande interesse da qualche possibile compratore americano».