Ha lasciato tutto a 101 anni Warren Brodey, incredibile visionario che ha dedicato la vita a lavorare su sistemi complessi e tecnologie reattive mettendo così le basi per la creazione dell’Intelligenza artificiale.
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Chi era Warren Brodey
Psichiatra, teorico dei sistemi, cibernetico, durante la Guerra Fredda, quando l’idea di un computer che potesse «pensare» sembrava fantascienza, Brodey iniziò a immaginarlo davvero. Nato in Canada, un passato alla Cia e lo sguardo rivolto a un futuro ancora senza nome, iniziava a porsi domande che oggi suonano familiari, e ancora attuali: «Può una `macchina´ renderci più creativi? E se fosse la tecnologia ad esplorare noi?».
Nato a Toronto nel 1924, Brodey si formò come psichiatra e approdò al National Institute of Mental Health, dove fu coinvolto in progetti finanziati dalla Cia su capacità percettive straordinarie. Il suo interesse non era tanto nel paranormale, quanto nella plasticità umana: come l’ambiente influenza il pensiero? E come può essere riprogettato per favorire la creatività? Nel 1965 abbandonò una carriera avviata a Washington per accettare un posto non pagato al Mit, dove trovò una comunità di pensatori eccentrici e brillanti: Marvin Minsky, Nicholas Negroponte, Marshall McLuhan. Con loro scambiava idee su intelligenze artificiali, media interattivi e «materiali morbidi», capaci di reagire al corpo umano.
Quel genio innato
Morto nella sua casa di Oslo, in Norvegia, più che centenario, Warren è stato uno di quelli improbabili e geniali che popolavano il mondo del Massachusetts Institute of Technology negli anni ’60 e ’70, prima che Silicon Valley diventasse una formula magica. Ufficialmente era un medico. Di fatto, un pensatore radicale e anticipatore. Architettura, reti, giocattoli interattivi, ambienti sensoriali e intelligenza artificiale: tutto per lui era un sistema, e tutti i sistemi potevano (e dovevano) essere umani. Come scrive il New York Times, Brodey fu il visionario che immaginò l’AI prima che fosse realtà.