Le donne sono sempre state al centro della sua vita. Madri, figlie, amiche. Per Maria Grazia Calandrone, poetessa, scrittrice finalista al Premio Strega, drammaturga, artista e conduttrice, le “sue donne” sono «simbolo di libertà e indipendenza». In questa nuova puntata di Unstoppable Women, l’intervista a una delle voci più intense e riconosciute della letteratura italiana contemporanea. Nata a Milano il 15 ottobre 1964, Maria Grazia Calandrone è stata una tra le finaliste del premio Strega per due volte, nel 2021 con il libro Splendi come vita (Ponte alle Grazie), e nel 2023 con Dove non mi hai portata (Einaudi). Opere che affrontano temi legati alla maternità, all’identità e alla memoria, con uno stile inconfondibile che unisce la sua vita personale a riflessioni sulla società e le correnti storiche. «Le donne sono state figure centrali nella mia vita, sia mia madre biologica sia la mia mamma adottiva. Mi hanno insegnato che cosa vuol dire rispettarsi», ci ha raccontato.

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Maria Grazia, secondo lei che cosa definisce una “Unstoppable”?
Essere “unstoppable” per me significa, prima di tutto, avere rispetto per sé stesse e conoscere a fondo i propri desideri. Per questo sostengo che la poesia sia uno strumento principe che va proprio in questa direzione e tra i mezzi più potenti che abbiamo per conoscerci e sviluppare un senso critico. Ma in questo momento, purtroppo, la poesia è lontana dai luoghi della cultura e del potere.
Le donne sono sempre state al centro della sua vita, e ne parla anche nelle sue opere. Quali sono i libri che le ritraggono a cui è più affezionata?
Sicuramente i due in cui ho raccontato delle mie due mamme, “Splendi come vita“, dedicato alla mia madre adottiva e “Dove non mi hai portata“, in cui racconto il rapporto con la mia madre biologica. Alla fine sono fermamente convinta che tutte e due siano dei grandi esempi di persone libere. La mia madre biologica, Lucia, non l’ho mai conosciuta in forma cosciente ma mi ha trasmesso un messaggio di grande indipendenza e forza, mentre ho trovato la consolazione nella mia mamma adottiva. Entrambe mi hanno insegnato quanto sia importante il rispetto verso se stesse, e se sono quella che sono, in gran parte, lo devo a loro. La libertà è per me un valore primario che cerco di trasmettere anche ai miei figli anche se l’equilibrio a volte è complicato. A loro manca molto il senso della socialità, della collettività, che in queste nuove generazioni si va perdendo ma che, invece, è fondamentale.

Lei ha mai accusato episodi di gender gap?
Solo una volta, anche se devo ammettere che oggi tra scrittori e scrittrici non c’è più una grande differenza. Questo non succede, invece, nei ruoli apicali. Alcune grandi case editrici ora sono guidate da direttrici, ma fino a poco tempo fa la prassi era che alla dirigenza ci fossero gli uomini, era una cosa ovvia. Personalmente, invece, mi è capitato di accusare il gender gap sui social: una persona anonima mi aveva scritto che avevo fatto carriera con altri organi che non sono la voce. All’inizio mi sono molto arrabbiata, poi ho capito che era soltanto una provocazione e ho risposto con ironia. Trovo che sia, comunque, intollerabile mettere in discussione queste concezioni. Riflettendoci, si applicano archetipi patriarcali che sono retaggi di una vecchia cultura oggi non più accettabile.
E per quanto riguarda la donna nella società di oggi?
Sull’immagine della donna nella società intravedo un pericolo: ci sono ostacoli mai superati. Tornare a mettere in discussione il diritto all’aborto, per esempio, è uno di questi. Trovo che nel 2025 discutere di nuovo di certi temi sia molto pericoloso.

Che rapporto ha con i social?
Li uso e li studio tutti, ne ho scritto anche nel mio ultimo romanzo. Credo che infondano in questi giovani una mancanza di autostima. Invece, questi ragazzi e ragazze dovrebbero fidarsi di più di se stessi e cercare di fare progetti insieme, ma anche partendo dalle piccole cose. Oggi manca un corpo sociale nei ragazzi ma anche negli adulti. Ci troviamo in un modo di vivere che è antiumano e antisociale, invece dovremmo cercare di formarci una coscienza critica mentre si assiste a una passività. Tutto quello che viene propinato sui social diventa automaticamente “vero”, e i giovani e meno giovani si assuefanno a immagini di guerra, di anoressia, per fare alcuni esempi. Si è persa la memoria ma anche la capacità di attenzione.
Recentemente ha ricevuto il premio “Arte: Sostantivo Femminile”, che celebra donne simbolo di talento e cambiamento. Qual è il cambiamento che lei porta con se?
Io mi spendo affinché si torni a essere un corpo sociale, a camminare insieme, come una comunità e non più come singoli individui. Il concetto di collettività oggi manca, non si ha fiducia nella politica, nei sindacati, si deve ricostituire la coscienza civile. Soprattutto nelle nuove generazioni.
Consigli per giovani scrittrici?
Leggere, scrivere e strappare a oltranza per diventare brave. Avere uno stile prima di proporre qualcosa a qualcuno, perchè emergere nel mondo editoriale è molto complicato. E avere uno stile significa andare oltre, con passione, talento e caparbietà. E poi fare e disfare, cambiare quello che si è fatto, con pazienza.
I suoi prossimi progetti?
Uscirà un nuovo romanzo per Einaudi a ottobre ambientato in un contesto reale che passa dalla storia d’Italia e di nuova Ostia. Al centro c’è un personaggio inventato che assiste al bombardamento di San Lorenzo durante la Seconda Guerra Mondiale. Prossimamente ne scriverò uno su mio padre adottivo, Giacomo, che era partito come volontario durante la guerra di Spagna.

Scrittrice, conduttrice, radiofonica, giornalista, che cosa le piace di più?
Da un punto di vista sociale la mia passione è quella di comunicare, ma a livello personale io nasco scrittrice di poesie. La poesia per me è come una fede ma mi rendo conto che non sia particolarmente facile da proporre al grande pubblico, perciò mi dedico tanto anche alla comunicazione, che mi permette di avere a che fare con una platea più vasta. Così tutti i canali per me sono strumenti importanti: che siano la radio, la prosa o altro. Riconosco in me un’esigenza comunicativa che punta a condividere riflessioni con il maggior numero di persone possibile. In questo senso, essere stata una finalista del Premio Strega mi ha dato la possibilità di essere ancora più ascoltata.