Ex ginnasta della Nazionale italiana di ginnastica ritmica, medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Tokyo 2021 e oggi prima donna presidente della Commissione Atleti del CONI Emilia-Romagna, Martina Santandrea dopo aver lasciato la sua carriera da atleta ha dovuto reinventarsi. Ma non è stato facile, una strada in salita e completamente nuova per un’atleta che dello sport e del gioco di squadra ha fatto la sua vita. Ieri, 5 settembre, Martina ha compiuto 26 anni. Ancora tanti sogni nel cassetto e progetti in divenire, Martina ci ha raccontato che cosa vuol dire per un’atleta abbandonare tutto quel percorso completato con tanto sforzo e sacrificio e rimettersi in gioco verso nuove avventure. La sua intervista per la nostra rubrica Unstoppable Women.

Martina, come è nata la tua passione per la ritmica?
Ho iniziato a 7 anni nel paese dove vivo in provincia di Bologna, San Pietro in Casale. Avevo trovato un volantino fuori dalle scuole elementari e mi avevo affascinato l’eleganza di quello sport, prima di tutto. Allora non c’era una grande cultura della ginnastica ritmica con i piccoli attrezzi, ho vissuto io stessa una vera e propria evoluzione. Durante un allenamento, un’allenatrice mi notò e così iniziai quella che sarebbe diventata la mia carriera da Ferrare. Ricordo mio nonno che ogni giorno da Bologna mi portava a Ferrara e poi tornavamo indietro. Questo sport richiede tante ore di allenamento: già alle medie mi allenavo 6 ore. A 17 anni è arrivata la convocazione in Nazionale e mi sono trasferita a Desio, in provincia di Milano.

E come è stato cambiare drasticamente vita così piccola?
Non facile, si consideri che con la mia squadra, composta da altre 9 ragazze, ci allenavamo 8-9 ore al giorno e vivevamo tutte insieme in un hotel. Trascorrevamo i mesi invernali a Desio e l’estate a Follonica, poi nel 2017 ho iniziato a gareggiare, fino al 2023 quando ho deciso di ritirarmi anche per motivi di salute. Per tutto questo tempo con la mia squadra abbiamo vissuto 24 ore assieme, io condividevo la stanza con un’altra ragazza, Agnese Duranti. Tra noi c’è ancora un legame indissolubile.
Un salto entrare nella Nazionale…
Si, fin da bambina sognavo di entrare nella squadra e, una volta arrivata non mi sembrava vero. Vivere così piccola lontano da casa all’inizio ti sembra molto strano, devi diventare indipendente e saperti gestire in tutto anche, banalmente, fare una lavatrice. Ho vissuto quegli anni come un viaggio indimenticabile, anche se con tanto sacrifici ma essere a contatto con altre persone non l’ho mai vissuto come un peso bensì come un arricchimento. Ora che, invece, quella vita è finita, è stato molto difficile ricostruirmene una e reinventarmi però sono molto soddisfatta del mio percorso che, chiaramente, non finisce qua.

Quanto conta saper fare squadra nella ginnastica ritmica?
È fondamentale sentirsi parte di un team building che cresce piano piano. Noi ci siamo conosciute giovanissime e, insieme, siamo diventate donne. Ognuna ha un carattere diverso ma, per come sono fatta io, la mia predisposizione è proprio lavorare in squadra. È una soft skill che ho sviluppato nel mio periodo di atleta professionista e che mi ha sempre aiutata. Essere un pezzo del puzzle è fondamentale: quando una di noi aveva un momento di down c’erano sempre pronte le altre a sostenerla.
E per i tuoi genitori come è stato vederti andare via da casa così piccola?
All’inizio mi dicevano che non vedermi più girare per casa era strano, ma quando ritornavo l’impatto era sempre molto forte. Mi hanno sempre appoggiata nella mia carriera agonistica, sono motivo di orgoglio, ma mi hanno anche fatto portare avanti gli studi. A scuola dovevo andare bene a scuola. Loro, quando sapevano che avevo una gara, mi hanno sempre seguita e sostenuta.
La gara più bella e quella più brutta?
Iniziamo da quella più negativa: il primo mondiale. Siamo arrivate quarte nonostante avessimo fatto una bella gara ma ci è servito per capire che a volte le giurie sono imprevedibili e non sempre corrette. La più bella sicuramente le Olimpiadi: esserci arrivate durante il Covid è stato molto pesante, dopo l’anno rimandato, ma abbiamo guadagnato la medaglia di bronzo e siamo entrate in pedana con una carica emotiva fortissima. Io vivevo tutte le gare al 100%.

Quale pensi che sia la caratteristica imprescindibile nel tuo lavoro?
Saper trasformare l’emotività a volte in freddezza a volta in adrenalina. Quando prendi consapevolezza che vai a rappresentare il tuo Paese, diventa tutto più difficile. È un allenamento non solo fisico ma anche mentale. Una mattina ti svegli e sei alle Olimpiadi e sai che quello è il giorno più importante della tua vita. E poi avere la consapevolezza che un tuo errore può compromettere tutta la performance è una grande responsabilità.
Ora quali sono i tuoi progetti nel cassetto?
Mi sono laureata in Scienze Motorie e ho iniziato un master in Marketing e Comunicazione. Ho anche vinto una borsa di studio alla Luiss per un master in Management dello sport e poi sono diventata la prima presidente donna della Commissione Atleti del Coni Emilia Romagna. Mi piacerebbe molto lavorare a 360 gradi nel mondo dello sport per poter portare avanti la voce degli atleti. Poi continuo nell’Aeronautica militare: facciamo esibizioni e sto pian piano aggiungendo tasselli nel mio futuro. Quando posso, viaggio!
Ora dove ti sei stabilita?
Sono tornata a casa a San Pietro in Casale ma quando ci alleniamo vado al centro sportivo di Bracciano. Mi sposto tra Emilia Romagna e Lazio. Certo, tornare a casa è stato strano ma anche vivere in una camera di hotel lo è.

Che mondo è per una donna quello della ritmica?
Il ns mondo è prettamente femminile ma in Spagna, per esempio, esistono i Campionati nazionali di ginnastica ritmica maschile. Qui in Italia siamo invece ancora indietro. In generale io non ho mai accusato episodi di gender gap, l’ho sentito soltanto un po’ nel contesto militare, quando percepisci che sei l’unica donna in mezzo a tanti uomini.
Ed essere la prima presidente donna della Commissione atleti del Coni Emilia Romagna che effetto ti fa?
Ho accolto con onore questo ruolo, all’inizio con timore. Noi sportivi siamo bravi coi fatti sul campo e quando devi cambiare non sai mai che cosa ti aspetterò, ma ho avuto la fortuna di trovare un ambiente accogliente, pronto a farmi strada.
Hai vinto anche il Millennium Award, il premio multidisciplinare dedicato ai giovani italiani under30. Te l’aspettavi?
No ed è stata una bella sorpresa. Lavorando nel Coni ero venuta a conoscenza di questo premio, avevo i requisiti e mi sono detta “provo”. Quando mi hanno detto che ce l’avevo fatta è stata una grande soddisfazione. Ora ho voglia di imparare, mettermi in gioco, entrare in nuovi mondi. Non so dove sarò tra 5 anni: adesso appena posso parto, ma so che mi piacerebbe molto lavorare, appunto nella comunicazione dello sport, organizzare eventi, gestire gli atleti. Io non mi pongo limiti e l’unica cosa che voglio è trovare un lavoro che mi gratifichi. Poi un domani vorrei stabilizzarmi e avere una mia famiglia. Insomma, a un certo punto mi stabilizzerò davvero.