In Italia gli stereotipi di genere sono presenti anche nello sport. Secondo una ricerca promossa dall’Istituto Europeo per l’uguaglianza di genere, le concezioni sociali di mascolinità e femminilità sono ancora elementi cardine nel mondo sportivo, in cui spesso si associano a caratteristiche “maschili” la forza fisica, la resistenza e la velocità. Tutti elementi che si ritrovano anche nel mondo del rugby, disciplina ancora vista erroneamente come un’attività di contatto, violenta e maschile. Secondo il report Indifesa, però, questa percezione inizia a cambiare proprio con le nuove generazioni. Infatti, il 99% delle intervistate si considera consapevole dei pregiudizi di genere legati al mondo dello sport, ma dal punto di vista femminile il 98% di loro promuove già positivamente una percezione no gender, nel caso specifico del rugby, in quanto sport inclusivo e adatto a tutti. Maria Cristina Tonna, coordinatrice della Federazione Italiana Rugby Attività Femminile, racconta a StartupItalia questa nuova percezione, sempre più inclusiva e rivolta a tutti.
Valori e insegnamenti
Dal 1982, quando si appassiona al rugby ed entra in questo mondo per la prima volta, Tonna dedica la sua carriera alla diffusione di uno sport ancora non troppo conosciuto dal pubblico femminile. Ma ben presto diventano chiari i valori e gli insegnamenti validi per tutti, anche fuori dal campo. «Il rugby è uno sport che insegna indistintamente a ragazzi e ragazze il concetto di stare insieme, di inclusione ed è anche una palestra per diventare più consapevoli e determinati in quanto persone». Un esempio dell’unione e dello spirito di squadra proprio del rugby è «il terzo tempo, quel tradizionale incontro dopo gara tra le squadre, che non vuole essere solo un momento in cui si mangia tutti insieme, ma un vero e proprio momento di inclusione, di convivio, in cui ci si mette davvero in connessione con l’altro».
Il rugby, purtroppo, ancora vive pregiudizi e stereotipi di genere, che portano spesso ad associare questo sport al genere maschile. E sono proprio le famiglie a dover combattere questi luoghi comuni, giorno dopo giorno. «Lo stereotipo più diffuso in assoluto è che, essendo uno sport di contatto, il rugby sia uno sport violento: è uno sport che richiede tra le altre abilità anche forza e, per questo, viene immediatamente relazionato al genere maschile». L’obiettivo è quello di smontare questa convinzione, facendo capire ogni giorno alle bambine e alle loro famiglie quanto il rugby sia in grado di regalare una grandissima forza mentale in termini di determinazione, che poi ci si porta anche fuori dal campo. «È un gioco ancora in parte da scoprire tra le ragazze e per molte non è la prima scelta, perché sono ancora tanti i pregiudizi da parte delle famiglie e, in generale, della società. Quando le bambine crescono ed iniziano ad avere senso critico e capacità di valutazione, è lì che scatta la scelta autonoma».
Molte famiglie stanno cambiando approccio al rugby in Italia, grazie anche alle tante azioni di promozione che stanno facendo crescere una nuova cultura. L’obiettivo della Federazione Italiana Rugby è proprio quello di diffondere una maggiore conoscenza e consapevolezza di uno sport che, indistintamente, è pronto a regalare ai propri atleti e alle proprie atlete grandi insegnamenti. «Abbiamo creato un questionario, inserito nel progetto “Women in rugby” del bando europeo Erasmus+ Sport, e presentato a 381 tra bambine e ragazze, da cui emersi dati interessanti». Innanzitutto, l’unanimità tra praticanti e non praticanti: tutte le intervistate ritengono che ogni ragazza debba poter scegliere lo sport che più preferisce senza preclusione di genere. «Questo non vuol dire che tutte alla fine scelgano il rugby come primo sport, ma è sicuramente un elemento interessante in termini di consapevolezza e di leadership presente e futura».
Mettersi in gioco
Per raccontare e celebrare uno sport che proprio di inclusione continua ad alimentarsi è nato il ‘FIR Camp Juniores Femminile’, dedicato alle rugbiste under 13, under 15 e under 17. Strutturato in due giorni di allenamenti e di immersione nel mondo del rugby, è riuscito a coinvolgere 150 atlete, rappresentanti delle sette regioni dell’Area 4 coinvolte nel progetto promosso da Commissione Rilancio Sud e Promozione & Sviluppo. «Il Camp, che si è tenuto a maggio a Pomigliano d’Arco (NA), era riservato a 150 ragazze giocatrici provenienti da tutta Italia. Oltre a due giorni di allenamento, c’è stata la possibilità di conoscere una delle ragazze che ha fatto il percorso nazionale under 18, scoprendo che ci sono varie opzioni: si può ambire a diventare giocatrici di vario livello, arbitre, dirigenti ed allenatrici, per alimentare quell’economia circolare fondamentale per far continuare a crescere il nostro movimento». La scelta di coinvolgere le atlete nel Sud Italia non è casuale. Come sottolinea Maria Cristina Tonna, al Sud si hanno al momento poche opportunità di giocare e non tutti i club hanno squadre complete. «Abbiamo pensato fosse un buon modo per far recuperare alle ragazze alcune esperienze che al Nord si possono invece vivere più spesso. Non è stata comunque un’esperienza fine a se stessa: pensiamo a una serie di eventi nel corso del tempo».
Qual è il ricordo più bello di questa esperienza? «Aver messo persone di posti diversi e contesti diversi, insieme», risponde Tonna. «Aver fatto capire alle ragazze che c’è un futuro e che possono non solo sognare di giocare, ma avere proprio l’obiettivo di giocare, a qualunque livello scelgano di appartenere». Prima di lasciare il Camp, una promessa tra sportive, per puntare a coinvolgere sempre più donne nel mondo del rugby. «Ci siamo date una sfida: al prossimo Camp ognuna dovrà aver coinvolto almeno un’amica o una compagna di classe. Ci siamo lasciate con la consapevolezza che, soprattutto al femminile, possiamo essere responsabili nel coinvolgere nuove compagne e far avvicinare così sempre più ragazze, a questo bellissimo sport».