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La crescente digitalizzazione degli ultimi anni non ha cambiato solo il modo in cui interagiamo con i nostri dispositivi e, in subordine, il modo in cui i diversi dispositivi “dialogano” tra loro: ha cambiato soprattutto il modo in cui ciò che li fa “girare”, ovvero i software (e le app) vengono progettati e distribuiti. Come avevamo già spiegato in un precedente articolo su Startupitalia, le API (Application Programming Interface), spiegate in parole semplici sono uno strumento molto utile agli sviluppatori e si è andato via via affermando come uno “standard” nella creazione di applicazioni in un momento storico particolare dell’economia digitale, che potremmo definire “dall’iPhone in poi” o forse anche “da Facebook in poi”.

Addio software “monolitici”

Prima i software, tutti i software, sin dai tempi di Dos e prima di Internet e delle reti, erano concepiti come monoliti: centinaia, migliaia, milioni e anche centinaia di milioni di righe di codice che “parlava” ad altro codice. E tutto all’interno di unico “recinto”. Poi, col passare degli anni, è aumentata la capacità di calcolo dei nostri computer ma sono cresciute anche le infrastrutture telematiche, spianando la strada al cloud, che porterà con se anche una re-ingegnerizzazione dei processi attraverso i quali le applicazioni sono sviluppate e dialogano tra di loro: inizia l’era dei “microservices” e delle interfacce che ne facilitano l’estensione. Le API, appunto.

E, come abbiamo visto, i microservizi sono visti un po’ come la manna dal cielo per tutti quelli che sviluppano applicazioni, perché sono una enorme semplificazione e velocizzazione dei processi. Un po’ come pre-fabbricare pezzi di edilizia che possono essere “montati” sia all’interno di un’abitazione privata che di un grattacielo di 80 piani, piuttosto che un capannone industriale.

platform sito sella api

Un “supermercato” di pezzi di codice per i pagamenti

“Pezzi” di app intorno ai quali molti iniziano a vederci opportunità di business, come il Gruppo Banca Sella, che ha lanciato una piattaforma di Api open source, la prima in Italia, rivolta a startup e imprese. Si chiama Platform ed è un “supermercato” con pezzi di codice che interagiscono direttamente con il gateway della banca, consentendo, quindi, l’esecuzione di operazioni complesse in modo più veloce e integrato. E l’auspicio è quello di coinvolgere non solo startup ma anche altri istituti bancari: questa iniziativa, infatti, promette la responsabile Fintech e Nuovi business del gruppo bancario biellese, Doris Messina, «nasce già con l’obiettivo che sia open, perché ci immaginiamo una creazione di una community, che utilizzi e contribuisca a sviluppare non solo le Api del Gruppo Banca Sella ma tutto quanto possa essere d’interesse per il fintech». L’abbiamo intervistata.

Doris Messina, Fintech & New Business Officer Gruppo Banca Sella

Doris Messina, Fintech & New Business Officer Gruppo Banca Sella

Api, le “nipoti” del carrello

Doris Messina, con l’apertura di questo marketplace anticipate, di fatto, ciò che entrerà in vigore con la cosiddetta Psd2…
«Sostanzialmente sì, anche se non è poi così chiaro cosa verrà fuori con l’entrata in vigore delle nuove norme. Gli standard emanati sono abbastanza generici e quindi lasciano libera interpretazione. Diciamo meglio che abbiamo visto in questo obbligo normativo un’occasione di business».

Come quando vent’anni fa Sella ha “inventato” il primo carrello eCommerce d’Italia.
«Ci abbiamo visto un’occasione nel ’97 ci vediamo un’opportunità anche ora, perché l’utilizzo del banking sta cambiando profondamente, soprattutto da parte delle imprese. Certamente la normativa accelera tutto questo. Ma questa visione noi la portiamo avanti da tre anni indipendentemente dalla norma».

Come funzionano

Facciamo un esempio pratico: perché un’azienda dovrebbe “comprare” servizi Api?
«I target sono diversi, c’è la grande azienda che ha bisogno di fare efficientamento dall’esterno, automatizzare i processi di backoffice, eccetera. Magari ha grandi moli di bonifici, tanti stipendi da pagare, pagamenti ai fornitori e hanno il problema di dover riconciliare queste operazioni con i software gestionali e allineare tutto con il conto corrente, tutte operazioni che, ad oggi, vengono eseguite prevalentemente “a mano”, comportando anche un costo in termini di tempo e, quindi, di denaro. Ma non si tratta solo di aziende. Per esempio, abbiamo un caso molto interessante: la società di servizi di un Comune della Basilicata, Atella, che si occupa di raccolta e gestione dei rifiuti. Se il cittadino svolge direttamente una raccolta differenziata tramite api il sistema gestionale si accorge che la consegna è stata effettuata e in automatico viene fatto un cashback al cittadino».

Il servizio sarà disponibile solo per i vostri correntisti?
«Non solo. Oggi, per poter usufruire delle Api le aziende devono avere i conti correnti presso di noi, Ma in prospettiva questo vincolo verrà eliminato ».

A chi serve

Se pensiamo a Api, e quindi a pezzi di software molto “elastici”, è facile pensare subito alle startup digitali…
«Certamente, un altro fronte è quello delle startup, non solo quelle esclusivamente fintech. Penso a tutte quelle che devono far effettuare dei pagamenti, come i marketplace, portali di crowdfunding, i siti di eCommerce, di sharing e gig economy… Tutti quelli che hanno pagamenti da molti a molti o che hanno nuovi modelli di business e necessitano una forte personalizzazione dei flussi dei pagamenti».

Anche l’eCommerce, quindi “rottamerete” il vostro storico carrello?
«Il nostro carrello funziona già in modalità server to server e tramite API da molti anni . Quanto alle startup, un caso che abbiamo adesso in corso è quello di Prestiamoci: loro devono raccogliere denaro da molti e poi “prestarlo” ad altri in p2p lending: con le nostre Api questi processi sono tutti automatizzati».

Ci sono solo transazioni o sono previste altre implementazioni?
«Ovviamente presto puntiamo ad estenderci a tutta l’operatività bancaria. Come quando è nato l’home banking, che inizialmente era lista movimenti e bonifici. Poi col tempo è diventato molto più ampio. Nel caso del banking gateway, l’abbiamo concepita 3 anni fa, ci abbiamo lavorato gli ultimi 18 mesi e ora abbiamo iniziato a rilasciarlo ai primi clienti.

Quindi, next step?
«Favorire tutti i processi di onboarding, certamente».

banca sella api pricing

Iscrizione gratuita per le startup

Quanto costerà?
«Abbiamo scelto una combinazione tra un canone per l’accesso alle Api, a seconda dei volumi che fa l’azienda, più il costo per operazione dispositiva. Un processo che ti viene automatizzato e che ti consente una soglia di ingresso molto bassa (per le startup e le Pmi innovative il canone di utilizzo delle API è gratuito fino a 250 call al mese, ndr). E poi sulla base dei volumi arriviamo a una tariffa personalizzata, con soglie intermedie che vanno dai 50 ai 500 euro al mese».

Come ci si iscrive?
«Dal punto di vista pratico questo nuovo prodotto si configura come un sito a parte, www.platfr.io, su cui è presente la richiesta di adesione o anche solo di informazioni. Sul sito offriamo la documentazione per l’implementazione, un ambiente di prova e forniamo anche assistenza da parte dagli stessi sviluppatori, che sono interni al Gruppo Banca Sella (team misto Italia-India)».

“Care banche, vi aspettiamo”

Dire Api vuol dire anche open source. Siete i primi ad offrire un servizio del genere, come vi comporterete con le altre banche?
«La nostra idea è quella di un’iniziativa aperta, perché partiamo ovviamente con le nostre Api, ma già con l’obiettivo che sia open, perché ci immaginiamo una creazione di una community, che utilizzi e contribuisca a sviluppare non solo le Api del Gruppo Banca Sella ma tutto quanto possa essere d’interesse per il fintech».

Api, perché sì perché no

A proposito di Api, viene subito da pensare al giovane Augusto Marietti, che ha visto in questi servizi in tempi assolutamente pionieristici una grande opportunità di mercato. Che ovviamente l’Italia non aveva capito…
«È molto probabile che fosse troppo avanti per la situazione italiana. Come certamente il mercato americano è molto più avanti rispetto al nostro: senza dubbio lì c’è una visione più avanti di almeno tre-cinque anni».

E per il futuro, a tuo avviso scompariranno i software monolitici così come li conosciamo e si andrà verso una implementazione sempre più massiva di Api, oppure no?
«Mi pare difficile che ci siano solo Api in futuro. Ci sono diverse esigenze. Le Api prevedono che all’interno dell’azienda ci siano degli sviluppatori che le sappiano implementare sulle varie piattaforme. E queste sono figure professionali che trovi o nelle startup tecnologiche o nelle grandi aziende. Tutti gli altri si poggiano su società e consulenze esterne. Quindi credo che continuerà sempre ad esserci la necessità di prodotti “confezionati”, poiché per tutti i modelli che hanno bisogno di una forte personalizzazione le Api non bastano. Penso che molto probabilmente si verificherà un affiancamento dei due mondi, ovvero Api più pacchetti confezionati».

@aldopecora