E’ stato il fondatore de Linkiesta, ora dirige un giornale online dove quasi tutti i contributors scrivono gratis e ogni mese premia il più cliccato con mille euro. Jacopo Tondelli parla a Startupitalia, e sul futuro del giornalismo ai tempi di Facebook e Google dice: «per arginare lo strapotere dei contenitori dipenderà tutto dalla nostra capacità di produrre contenuti»
Tre anni fa l’addio a Linkiesta, il giornale che aveva fondato e diretto dal 2010, a seguito del licenziamento del suo condirettore. Un anno di riflessione ma anche di studio di un mercato editoriale digitale in continua trasformazione, e il ritorno online, a fine ottobre 2014, alla guida di un nuovo progetto editoriale: Gli Stati Generali.
L’ambizione di Jacopo Tondelli era (ed è) delle più visionarie e provocatorie: fare un giornale senza giornalisti. O meglio, con pochissimi giornalisti (inizialmente solo lui e il co-founder, Lorenzo Dilena), qualche sviluppatore, e con protagonisti gli abitanti dei social network. Un po’ blogger, un po’ comunicatori, a creare i contenuti e a fare, di fatto, il giornale sono principalmente i “brains”, i cervelli che osservano, pensano e scrivono. Non vengono pagati, ma grazie a un algoritmo che monitora gli articoli click, tempo di permanenza ed engagement degli articoli pubblicati, ciascuno di loro può ambire a spartirsi il montepremi mensile di 1.100 euro che viene distribuito tra i primi cinque classificati. Si chiama revenue sharing: tu fai guadagnare me, con la qualità e la “viralità” del tuo contenuto, io condivido con te una parte dei miei ricavi. Ricavi che vengono, ovviamente, in gran parte dal traffico generato attraverso i social network.
Ora però che Mark Zuckerberg promette un giro di vite contro le bufale, ventilando apertamente il coinvolgimento di grandi editori e giornalisti in team globali e locali per il controllo della veridicità delle notizie diffuse su Facebook (e pagandoli, direttamente e indirettamente), tutti coloro i quali facciamo questo mestiere forse dovremmo iniziare ad occuparcene. Non tanto per il futuro e la libertà del nostro lavoro quanto per quelli, molto più importanti, di chi quotidianamente ci legge.
Ecco perché abbiamo pensato, accanto allo studio (e alla spiegazione) delle potenzialità e dei possibili problemi di un mercato in continua evoluzione, di aprire uno spazio di confronto anche e soprattutto con le altre testate.
Direttore Tondelli, proprio tu due anni fa hai scelto di fare un giornale senza giornalisti, che partisse dai social. Ci dici perché e, soprattutto, come hai fatto?
«La premessa partiva dalle esperienze diffuse e dall’osservazione, non solo nostra, di quali sono i modelli di business che possono funzionare e quali no. Soprattutto partendo con capitali ridotti e avendo la necessità da subito di essere economicamente sostenibili. Siamo partiti dal business plan, come base, da un lato. Le competenze giornalistiche specifiche restano uno specifico di chi sa fare il giornalista, ma sui vari campi, politica, economia, scienza, arti, non richiedono più come una volta l’intermediazione esclusiva dei giornalisti, dei pubblicisti.. spesso, anzi molto spesso gli esperti sono degli ottimi divulgatori delle cose cui si occupano. Anni di rapporto disintermediato hanno tolto qualcosa al giornalismo, certamente, ma hanno “allenato” competenze specifiche a parlare in maniera diretta e intelligente».
E che ruolo ha avuto Facebook in questo?
«Di sicuro l’esistenza dei social e la loro diffusione ha portato le persone a mettere a contatto diretto le proprie competenze, capacità di farsi comprendere, anche far arrabbiare qualcuno. Ormai viviamo un tempo in cui diversi soggetti di diverse generazioni dialogano sul web. E non sono solo i giovani. Il contesto ha provocato l’evoluzione di un pubblico molto più vasto».
Un solo “stipendio”, a chi scrive l’articolo più cliccato
Perché il cittadino-lettore-pensatore dovrebbe scrivere gratis sul tuo giornale?
«Quando abbiamo fondato gli Stati Generali ci siamo dati l’obiettivo di mettere in piedi un prodotto di informazione che fosse al tempo stesso un canale più ampio per comunicare. E poi ci sono meccanismi di distribuzione dei ricavi, visto che ogni mese abbiamo un contest che distribuisce un montepremi di 1.100 euro per chi fa più click e tempi di lettura più alti».
Come li monitorate, avete ideato un vostro algoritmo?
«Sì, abbiamo elaborato un algoritmo che calcola la capacità di generare engagement del singolo post».
E questi 1.100 euro sono sostanzialmente quello che negli altri giornali è il budget del borderò?
«C’è anche il borderò per le collaborazioni tecnicamente giornalistiche, perché noi paghiamo diversi collaboratori e accettiamo proposte di pezzi a pagamento.
Facebook e il futuro dei giornali
Non si fa altro che parlare di bufale e post-verità. E’ colpa solo dei social? E, soprattutto, come sta cambiando il mondo del giornalismo?
«Non credo di avere molto da aggiungere a quello che ci diciamo e che ci stra-diciamo in queste settimane e che in tanti seguiamo con grande attenzione. Più che chiederci come sta cambiando il mondo del giornalismo la questione è per quanto tempo continuerà a cambiare, se ci sarà un vero new normal, se e come evolveranno le tecnologie di riferimento sia lato hardware ovvero device, smartphone, tablet, eccetera che software, ovvero piattaforme, aggregatori, eccetera. Mi chiedo cosa diventeranno Google e Facebook, cosa accadrà a Twitter… Diverse cose le sappiamo, su dove va il mondo del giornalismo. Di sicuro la funzione informativa del giornalismo sarà quella “alta”, e la sfida resta quella di sempre: dimostrarsi credibili, soprattutto sul fronte della generazione e diffusione dei contenuti. Ed è altrettanto vero che la capacità materiale di fornire informazioni è oramai consolidatamente riconosciuta in capo sostanzialmente a tutti. Che poi tutti siano in grado di riconoscere una notizia e fornirla resta assolutamente falso. Ma i mezzi di produzione e diffusione di un contenuto che contenga una o più notizie finché esiste Internet sono nelle mani di tutti».
O nelle mani di pochi, se pensiamo che Facebook pare voglia far controllare le notizie ai grandi gruppi editoriali…
«In che rapporto si porrà Facebook con le fake news e l’azione dei grandi player questo resta il grande tema di domani. E’ una questione cruciale e ti ringrazio della domanda e per il ragionamento che state provando a portare avanti, perché ci aiuta tutti a vedere e approfondire un tema importante. Dico chiaramente che la coperta qui è cortissima, per forza, perché da un lato c’è la libertà d’espressione, il rischio legato al fatto che eventualmente siano alcuni gruppi a controllare le notizie. Mi chiedo quindi quali? Scelti in base a quali criteri? E poi sottoposti al giudizio di chi? A quali gruppi editoriali italiani e mondiali affideremmo la verifica della solidità delle notizie, o di smentita a notizie pubblicate da loro? E quand’anche fosse un organismo pubblico, non esiste nulla di davvero indipendente dal potere, politico e non, in grado di garantire terzietà, soprattutto per se stesso. Del resto, già nel momento stesso in cui non abbiamo visibilità degli algoritmi che generano la gerarchia con la quale Facebook ci sottopone questa o quella notizia siamo di fronte a qualcosa che ha la capacità forte di manipolare la nostra capacità di leggere, approfondire e comprendere una notizia. Vorrei piuttosto che a questo punto ragionassimo su un altro punto…»
Dì pure…
«Credo che questa fase ponga tutti di fronte al grande tema, al grande protagonista necessario, al grande assente di quest’epoca, che è la coscienza individuale. Innanzitutto capire anche il discorso che stiamo facendo noi. Pensiamoci, stiamo ragionando a un livello che per la maggioranza di fruitori di informazioni forse non sarebbe comprensibile neanche nella sua sostanza. Un cittadino, consumatore e lettore forse non ha gli strumenti per comprendere. E se non li ha lui nessuno può darglieli».
Tutta colpa della pubblicità
Una volta i giornali (e le radio, e le televisioni) servivano anche a questo. Forse la pubblicità sta togliendo sempre più spazio ai contenuti?
«Il perimetro di mercato e di “contendibilità” resta ancora piuttosto largo e ampio. Si deve riuscire e si può riuscire. Innegabilmente Facebook e Google, prima di tutto e prima di tutti non sono semplici attori che insistono sullo stesso campo in cui insistiamo noi. Sono il perimetro di gioco, sono qualcosa che somiglia di più all’arbitro che a un competitor…. E poi non ci sarebbe proprio partita, basta valutare la cassa immediatamente disponibile e legittimamente disponibile nelle mani di questi grandi player: ci troviamo di fronte a una capacità d’investimento sostanzialmente illimitata. Questo pone i due giganti in una situazione di sostanziale strapotere, e Facebook in particolare non ha il coltello dalla parte del manico ma di chi ha tutti i coltelli dalla sua».
Anche Google un anno fa ha lanciato un progetto per finanziare la nascita di nuovi progetti editoriali. E anche in Italia sono stati finanziati i primi progetti. E’ questo il futuro del giornalismo, con vecchie e nuove testate legate direttamente o indirettamente a Google e Facebook?
«È piuttosto chiaro che entrambi i modelli (il Facebook journalism project e il Google digital iniziative, ndr) somigliano molto a chi li ha prodotti e all’idea formativa e di marketing di entrambi i colossi. Ricordi qual era il motto di Google? “Don’t be evil”. Facebook considera il suo perimetro naturale di crescita un perimetro sempre più largo con dentro sempre più cose, purché comunque stia tutto dentro il proprio perimetro. Le due cose vanno più guardate più che per il bene che possono fare al giornalismo, che in entrambi i casi dipenderà dalla capacità dei giornalisti di metterle a profitto, e non come segnale del buon cuore di di Facebook e Google. I giornalisti e i giornali possono e devono guardare al rafforzamento del business e al rafforzamento/rinfrescamento della propria credibilità. Poi, se mi chiedi quale ti piace di più tra i due modelli è chiaro che andare a finanziare progetti del tutto esterni rispetto al proprio perimetro proprietario, come Fa Google, mi piace di più, però ti faccio anche un’altra domanda: cos’è esterno a Google, oltre Facebook? Facebook è l’unico “errore” di Google, l’unica cosa che non hanno visto, l’unico spazio che non hanno preso».
Contenuti o contenitori, chi vincerà?
Secondo alcuni i giornali di carta dovevano già essere morti da un pezzo, e invece vanno ancora in edicola, seppur con molti problemi. Ma alla luce di come sta cambiando il web, secondo te tra 10 anni saranno più importanti i contenuti o i contenitori?
«Per i contenitori no, non ne ho davvero idea e non mi azzarderei mai a fare una previsione. Per i contenuti sono convinto che la loro importanza dipenda anche da noi, e quindi in qualche modo la possibilità di arginare lo strapotere dei contenitori dipenderà tutto dalla nostra capacità di produrre contenuti e anche di continuare a conservare la primazia dei contenuti sui contenitori».