“Siamo davanti a un tempo strano, innaturale ma anche per certi aspetti prezioso” a dirlo è Alessandro Mele, General Manager della Cometa una realtà d’eccellenza a Como che accoglie oltre 1300 ragazzi e ragazze grazie al lavoro di 600 persone tra volontari, dipendenti, collaboratori e consulenti. Chiunque abbia avuto la possibilità di passare una giornata qui in una residenza magnifica vista lago di Como, avrà notato che sono le persone a fare la differenza e rendere la comunità un luogo dove si cresce, si studia e si insegna a tanti ragazzi a condividere esperienze, gioie e dolori.
Per questo in Cometa sembra ancora più complicato vivere il lockdown. Com’è possibile separarsi in un posto che fa della vita di comunità la sua forza? Come si fa a chiedere a 5 famiglie che vivono insieme tutti i giorni di stare a distanza di un metro uno dall’altro? Com’è possibile dare messaggi positivi e di speranza a tanti ragazzi che provengono da situazioni di disagio, di fragilità o anche di violenza? Risposte che pensavamo essere particolarmente difficili ma che, al contrario, Alessandro Mele riesce a riassumere in un pensiero tanto saggio quanto semplice: “La situazione di lockdown ci ha permesso di tornare all’origine del concetto stesso di comunità. Siamo riusciti a riscoprire valori importanti perché qui in Cometa era già forte il senso di famiglia e di solidarietà. Partendo da solide basi si riesce a costruire qualcosa di duraturo. Cometa – continua Mele – è un osservatorio sul disagio sociale, siamo una comunità e quindi per noi è centrale l’incontro. Questa situazione innaturale ci ha aiutato a fare una riflessione sul senso di tutto quello che facciamo. Siamo tornati al significato fondamentale di comunità ossia luogo di accoglienza”.

Una divaricazione delle disuguaglianze
Affrontare la Fase 1 della diffusione del Covid-19 però non è stato facile. Il lockdown – e in una comunità ristretta diventa davvero evidente – può far ritornare a galla situazioni famigliari che si erano attutite: “Ci siamo subito resi conto che il lockdown ha provocato una divaricazione delle diseguaglianze. Ragazzi che potevano contare su una famiglia solida, su un ambiente piacevole dove studiare e giocare non hanno subito un grave contraccolpo. Anzi, alcuni stanno riscontrando aspetti positivi. Diversa la situazione per i tanti ragazzi che vivono in situazioni di disagio, o perché non hanno una famiglia su cui contare – molti di loro sono giovani migranti o affidati ai servizi sociali – o perché proprio in famiglia vivono situazioni di difficoltà. In questi casi il contatto con i nostri educatori e volontari è ancora più importante”.
Non solo formazione a distanza
Per cercare di superare queste diseguaglianze e far sentire tutti accolti nello stesso modo, Cometa dal primo giorno di lockdown ha deciso di coinvolgere i ragazzi in modo diverso puntando sulla creatività degli educatori ma anche sulla voglia di contribuire con idee e iniziative dei ragazzi. “Per quanto riguarda la scuola abbiamo attivato i canali online. In questo siamo stati supportati con una donazione alla comunità di oltre 100 tablet dotati di connessione che abbiamo distribuito ai ragazzi che non avevano in casa WiFi e pc. Questo ha creato un senso di vicinanza importante permettendo a tutti di partecipare alle lezioni. Ma non ci siamo limitati alle lezioni”. Mele ci racconta che in Cometa i bambini e ragazzi avevano l’abitudine di trovarsi per fare attività laboratoriali, compiti e giochi in determinati orari. “Abbiamo pensato di ricreare digitalmente questa situazione. Ogni giorno alle 14.45 creiamo un appuntamento virtuale in cui un educatore o un ragazzo svolgono un’attività rivolta a tutti. Per esempio, si insegna a fare la cioccolata calda o si propone un gioco da fare in famiglia. I ragazzi, soprattutto i più fragili, ormai aspettano questo momento con ansia, non vedono l’ora di poter condividere un’esperienza”.
Cogliere gli aspetti positivi e condividere nuovi interessi
Gli educatori, con i quali i ragazzi hanno sviluppato da tempo un rapporto di fiducia, cercano sempre di stimolare i ragazzi a cogliere gli aspetti positivi del lockdown. Come emerge dal racconto che fanno loro stessi, in effetti qualche nota positiva c’è: “Molti ragazzi ci dicono di avere fatto in casa esperienze nuove: c’è chi si è inventato l’orto sul balcone o chi semplicemente si è messo a fare ordine nella propria stanza e ha imparato a rifare il letto. Emergono poi anche momenti più cupi legati al senso di solitudine e anche nella necessità di stabilire orari e pause dal mondo virtuale. Sono in molti che la mattina hanno gli occhi rossi per aver passato la notte a guardare serie online”.
Ci sono poi ragazzi che in questo periodo hanno scoperto delle vere e proprie passioni e che le vogliono condividere con gli altri: “C’è un ragazzo per esempio che, forse perché annoiato, ha cominciato a guardare film d’epoca e se n’è innamorato. Ha proposto agli educatori di creare un cineforum in cui anche i suoi compagni possano appassionarsi al cinema”. Altri hanno proposto di fare corsi di Yoga e di cucina online ma a tutti la scuola manca: “Ci ha stupito e commosso quanto ai ragazzi manchi la scuola proprio come luogo di incontro e condivisione”.
Come si vive il lockdown da dentro la comunità
Oltre ai ragazzi che frequentano la scuola e il doposcuola ma che vivono fuori dalla comunità, Cometa ospita anche 5 famiglie che hanno scelto la casa di via Madruzza come loro abitazione. Questi genitori sono accumunati dal fatto di aver accolto nella loro famiglia alcuni ragazzi in affido che si aggiungono ai figli naturali. In totale più di 50 figli tra naturali e in affido, di cui 23 ragazzi tra i 18 e i 20 anni vivono quindi proprio all’interno di Cometa e sono abituati a passare insieme molto tempo a partire dal pranzo e dalla cena che, fino a fine febbraio, veniva servita in una grande sala comune. “Ora le famiglie di Cometa hanno diviso i compiti tra i ragazzi in modo che possano svolgere attività utili a tutti ma mantenendo le distanze: c’è chi si occupa di cucinare, chi fa le pulizie, chi raccoglie le verdure nell’orto. Si tratta anche in questo caso di riorganizzare la quotidianità e imparare a mettersi a disposizione in modo diverso”.
Il Bar e Contrada degli Artigiani
Cometa ha poi un bar-ristorante aperto al pubblico dove sono impiegati ragazzi che frequentano il corso professionale di Sala Bar e Ristorazione. “Abbiamo ovviamente dovuto chiudere il bar, ma ci occupiamo dello sviluppo professionale dei ragazzi in modo diverso: seguono lezioni di formazione pratica online con i loro professori e si preparano al mondo del lavoro”.

Dopo sei settimane di lockdown ha invece riaperto Contrada Degli Artigiani, cooperativa sociale nata all’interno di Cometa che ha l’obiettivo di recuperare dalla dispersione scolastica ragazzi insegnando loro un mestiere e dando quindi loro la possibilità di entrare nel mondo del lavoro. Come dice il fondatore Erasmo Figini: “Contrada nasce per l’educazione al lavoro. Dalla passione di poter costruire, restaurare o aggiustare lavorando con l’umano”. Il lavoro ricomincia dagli ordini rimasti in sospeso ma poi è già in programma un’importante commessa per gli interni di una prestigiosa villa privata. La cooperativa punterà a sostenibilità e recupero: la pandemia ha riportato al centro dei valori la casa, per cui si punterà a un miglioramento degli spazi abitativi non solo acquistando nuovi oggetti ma riqualificando pezzi magari rimasti per anni abbandonati. “In questo periodo sono riuscita a riscoprire la bellezza del lavorare insieme. – racconta Rebecca Livraghi, 20 anni falegname – Lavorare per uno scopo più grande. Essere educati attraverso il lavoro. Tutto questo lo avevo scoperto in un’esperienza fatta in una bottega ad Orvieto qualche anno fa e solo tornando a casa in Cometa mi sono resa conto della bellezza che ci è donata. L’opportunità di essere assunta in Contrada degli Artigiani è stato per me un punto per ripartire”.

Il racconto dei ragazzi di Contrada
“Dopo queste settimane intense di lavoro e condivisione con i miei fratelli e cugini sono riuscito a portarmi dentro di me la voglia di ritornare sempre più felice nel mio lavoro quotidiano in Contrada. – spiega Erik Moraghi, 20 anni falegname – Ogni giorno cercavo la risposta alla domanda fatta da Erasmo che era “qual è stato il vostro cambiamento stando qua?”. Dopo settimane ho trovato la risposta che cercavo sul mio cambiamento ed è stata l’appartenenza a questo luogo dove sono sempre stato educato come un figlio vero. Ora quando riprenderò il mio lavoro in Contrada vorrei portarmi dietro sempre questa mia appartenenza per continuare a crescere ed essere educato”.
“Durante gli anni di scuola che ho frequentato qui in Cometa spesso sentivo dire dagli adulti che Cometa è una nave pronta ad accoglierci dove ci viene insegnato come affrontare la tempesta che ci circonda- racconta Mauro Patania, 21 anni, restauratore – In questo periodo sto capendo queste parole perché questa situazione è come una tempesta e se non sei pronto ad affrontarla, trovando un punto in cui ancorarti, sei perso. Per me il posto sicuro è questo luogo dove ho la possibilità di svolgere il mio lavoro in Contrada con passione e serenità grato agli adulti e maestri che ci sostengono e ci guidano in questa tempesta”.
“Quando sono arrivato qui in Italia dal Minnesota – spiega Joseph Stokman 19 anni – pensavo che il lavoro fosse avere degli obiettivi e doverli raggiungere a tutti i costi. L’esperienza che ho fatto qui è che, trovando qualcuno che ti insegna con passione e ti guardo con amore, gli obiettivi si devono raggiungere ma che si può lavorare in una maniera più vera, bella e interessante”.

L’Accademia del Legno
Durante la prima fase anche l’Accademia del Legno di CheBanca!, nata nel 2018 dalla collaborazione tra il Gruppo Mediobanca e Contrada degli Artigiani di Cometa, con l’obiettivo di creare un’impresa sociale artigianale sostenibile, ha dovuto momentaneamente sospendere le attività: “Non per questo ci siamo fermati. Abbiamo coinvolto i ragazzi nella progettazione di mobili e stiamo già pensando al Natale con prodotti che metteremo in lavorazione appena sarà possibile aprire in sicurezza” Ci ha detto Alessandro Mele.
E per il futuro? “Stiamo imparando tanto e siamo convinti che qualcosa di positivo possa rimanere da questa esperienza. – conclude Alessandro Mele – Tanti ragazzi hanno imparato ad avere un rapporto diverso con il digitale e credo che molte delle attività che prima non avevamo nemmeno pensato di fare, d’ora in poi saranno parte del nostro programma. Resta però una certezza: i luoghi fisici sono il fondamento della formazione, non basta la playstation per imparare a giocare a pallone, non bastano le serie tv online: la fisicità è fondamentale”.

La diretta streaming
Alessandro Mele sarà protagonista settimana prossima di una puntata di StartupItalia Live in cui affronteremo il tema della formazione e del lockdown. Con lui in diretta avremo il piacere di avere Miriam Cresta, CEO di JA Italia e Fulvio Giuliani Caporedattore di RTL 102.5