Domenica 26 maggio si vota per il rinnovo dell’Europarlamento. Il Partito Democratico ha schierato l’ex sindaco di Milano in prima linea nel Nord Ovest. Lo abbiamo intervistato
Per vincere alle europee, il Partito Democratico ha deciso di affidarsi all’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia (qui il sito ufficiale del candidato). Sarà infatti Pisapia il capolista nella circoscrizione del Nord Ovest. Avvocato, figlio del noto giurista Gian Domenico Pisapia a capo della commissione ministeriale che elaborò l’attuale Codice di procedura penale, Giuliano Pisapia è nato a nel capoluogo lombardo il 20 maggio del 1949. Eletto deputato nel 1996 e nel 2001 come indipendente nelle liste di Rifondazione Comunista, è stato sindaco di Milano dal 1º giugno del 2011 al 20 giugno del 2016.
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In quella occasione, Pisapia si presentò come portavoce del “popolo arancione”, battendo alle primarie l’architetto Stefano Boeri, il candidato ufficiale avanzato dal PD e voluto dalla dirigenza dell’epoca guidata da Pier Luigi Bersani. Leader di Campo Progressista, non è possibile inquadrarlo come membro vero e proprio del PD. Ma ora dal Nazareno sperano che l’esperienza del suo laboratorio politico meneghino possa essere bissata e riprodotta in vista delle Europee su scala maggiore. StartupItalia lo ha incontrato affrontando temi di primaria importanza quali: innovazione, occupazione e, ovviamente, startup.
L’intervista a Giuliano Pisapia
StartupItalia: Cosa proponete di fare, in Europa, per avvantaggiare l’ecosistema delle startup e per agevolare l’iniziativa imprenditoriale privata, soprattutto in campo giovanile? Avete iniziative per stimolare il sistema di credito o rendere maggiormente accessibile il sistema di tutela di marchi e brevetti?
Giuliano Pisapia: Le startup, proprio per la loro specificità necessitano di un approccio globale, che a Bruxelles viene denominato olistico, affinché ogni normativa tenga in considerazione i caratteri particolari del settore. Penso per esempio agli sgravi amministrativi e burocratici per le startup e la piccola e media impresa in genere. E’ impensabile che una realtà piccola e dinamica debba rispettare le stesse condizioni che si applicano alle multinazionali.
SI: Quindi, andando nel concreto…
GP: A proposito di grandi aziende, la Commissione ha intrapreso un giusto approccio in materia di concorrenza e colossi digitali, ma non saremo soddisfatti fino a quando non otterremo un’imposta minima comune a tutti i 28 Stati Membri. I legislatori devono assicurare un ambiente competitivo, sano che promuova la nascita di nuove startup capaci di affrancarsi rispetto ai colossi del web e al loro strapotere. Colossi, non dimentichiamolo, che spesso sono diventati anche campioni dell’evasione fiscale.
SI: Parliamo ora di cosa si può fare per sbloccare le difficoltà di accesso al credito
GP: Un’altra tematica importantissima è proprio l’accesso al credito. È indicato come elemento più critico da circa il 90% degli imprenditori. Penso che tramite un coinvolgimento della Banca Europea per gli Investimenti, la BEI, saremo in grado di assicurare maggiore liquidità a questo settore. Penso a strumenti finanziari per la condivisione dei rischi e alla destinazione di maggiori fondi per chi fa innovazione. Un altro tassello fondamentale per favorire lo sviluppo delle startup innovative sarà la fase conclusiva della realizzazione del mercato unico digitale. Le startup europee nascono infatti con un vantaggio unico: l’accesso a quello che è ancora il mercato più ricco a livello mondiale che conta ben 500 milioni di consumatori. Una sua maggiore integrazione, tramite un’ulteriore armonizzazione regolamentare, è direttamente proporzionale al potenziale delle nostre startup.
SI: E su ricerca e innovazione, cosa propone il PD?
GP: Gli investimenti pubblici in ricerca e innovazione promuovendo l’avanzamento tecnologico delle nostre imprese permettono al nostro sistema economico di resistere alla concorrenza crescente di Stati Uniti e Cina. L’economia europea è fondata sulla conoscenza, per questo dobbiamo impegnarci affinché le violazioni del diritto di proprietà intellettuale all’estero diminuiscano e, allo stesso tempo, è necessario difendere le nostre aziende ad alto contenuto tecnologico da acquisizioni predatorie. Mi riferisco al caso dell’azienda di robotica tedesca Kuka. Un’impresa collegata al regime cinese ha tentato l’acquisto per colmare il gap tecnologico e trasferire in Asia la produzione. Per concludere, il lavoro dei legislatori europei è quello di creare un ambiente economico sano e snello che favorisca imprenditorialità e innovazione e che allo stesso tempo combatta le pratiche sleali dei player più grossi e dei sistemi economici che non rispettano le nostre regole. Siamo il mercato più esteso del Mondo, abbiamo la forza e la capacità negoziale per farcela.
SI: Lavoro e politiche sociali. L’Ue registra un totale di 3,3 milioni di disoccupati nella fascia 15-24 anni e 5,5 milioni di Neet, con un tasso di disoccupazione giovanile al 15%: quali sono le vostre proposte per combattere questo fenomeno?
GP: La sfida sul lavoro è sicuramente una delle più urgenti ed è il tema che richiede un autentico approccio europeo. La rivoluzione tecnologica ha creato immense possibilità ma allo stesso tempo ha reso difficile la collocazione sul lavoro degli individui meno specializzati. Si tratta di un tema epocale che non riguarda solo l’Europa. Nell’era d’oro della produzione di autoveicoli, le 3 maggiori produttrici di Detroit impiegavano quasi un milione di operai. Oggi Google, Facebook e Apple impiegano nella Silicon Valley circa 56 mila individui altamente specializzati. Allo stesso tempo, hanno un giro d’affari e mettono in moto un volume di investimenti decisamente superiore. Solo insieme ai partner europei saremo in grado di porre le regole comuni in grado di governare questa rivoluzione.
SI: Come?
GP: Dobbiamo investire di più in ricerca e sviluppo e destinare a questo settore almeno il 5% del PIL europeo. Aumentare i fondi per la formazione delle generazioni future incrementando il fondo Granzia Giovani e triplicando le risorse per Erasmus+. Non solo, dobbiamo pensare anche a chi il lavoro lo ha perso. Mi riferisco a una riforma profonda del fondo europeo per l’adeguamento alla globalizzazione. In questi anni ha funzionato bene ma su una scala troppo limitata. La Svezia ha promosso l’imprenditorialità degli operai licenziati dalla SAAB fornendo programmi di formazione. A pochi anni dalla chiusura dello stabilimento i livelli di occupazione hanno raggiunto i livelli pre-crisi e la piccola città di Trollhättan si è riproposta con successo come centro di innovazione e piccola imprenditoria. Il problema è che il fondo non agisce sistematicamente ma solo in seguito a specifiche crisi. Occorre trattare il tema della formazione dei lavoratori tradizionali in maniera più sistematica prevenendo le crisi.
SI: Devo ripeterle la domanda: “come?”
GP: Per farlo dovremo dotare di più fondi questo meccanismo. Il concetto è molto semplice. Quando l’Europa ha gli strumenti usciamo vittoriosi dalle grandi sfide di oggi e domani. Purtroppo però la maggioranza di questi strumenti, le politiche del lavoro in primis, rimangono gelosamente nelle mani degli Stati Membri. L’Europa perde quando non ha la facoltà di intervenire, quando a una visione comunitaria prevalgono gli egoismi nazionali.
SI: Green economy: siamo all’alba di una nuova era. C’è l’esigenza di riconvertire la produzione industriale senza danneggiare l’economia già precaria del Vecchio Continente e senza infierire sull’occupazione. Qual è la vostra ricetta per affrontare la transizione?
GP: Vorrei prima di tutto chiarire un equivoco: crescita e protezione ambientale vanno di pari passo. I fondi destinati alla lotta al cambiamento climatico non sono una spesa improduttiva ma, al contrario, investimenti che creano crescita e occupazione. Le stime della Commissione Europea indicano che il mercato dei prodotti ambientali nel 2011 abbia raggiunto un giro di affari pari a 777 miliardi di euro. Le previsioni per il 2020 indicano una forte crescita che determinerebbe un volume commerciale pari a € 1700 miliardi. Nel 2013 le esportazioni europee del settore, raggiungendo 146 miliardi, hanno rappresentato il 9% dell’export comunitario. L’Europa, con 70 miliardi d’importazioni nel 2013, è leader tecnologico ed esportatore netto. Nonostante la recessione, il settore, con un’evidente ricaduta occupazionale positiva, registra tassi di crescita annui pari al 10%. Una tendenza che non è solo europea: l’Italia è il quinto esportatore a livello globale di tecnologie ambientali. La strada intrapresa è quella giusta. Alla Conferenza di Parigi, l’Unione Europea ha forgiato un alleanza con gli Stati insulari e quelli maggiormente a rischio per gli effetti del riscaldamento globale. Ponendo sul tavolo il più ambizioso piano di riduzione di emissioni siamo riusciti a convincere il resto della comunità mondiale a seguirci. Ma non basta. L’accordo ora va implementato e gli impegni rispettati. Dobbiamo quindi persuadere i nostri partner a rispettarlo.
SI: Eppure, l’Unione europea non sembra avere la forza per persuadere Paesi come Cina e USA
GP: La grande forza negoziale dell’Ue sta nelle dimensioni del suo mercato. Nessuno può permettersi di restarne escluso. Dobbiamo fare leva su questo imponendo impegni vincolanti al rispetto dell’Accordo di Parigi in tutti i nostri partenariati economici. Mi riferisco, per esempio, alla richiesta di Trump per la negoziazione di un accordo commerciale nord Atlantico. Penso che l’Unione debba porre la ratifica dell’accordo come pre-condizione per lanciare le trattative. Nemmeno la dimensione europea è sufficiente a risolvere questa crisi: una tonnellata di CO2 promossa qui o altrove sortisce gli stessi effetti. Non solo: non possiamo sottoporre aziende e lavoratori alla concorrenza sleale dei Paesi con scarsi vincoli ambientali.