Come aprire il primo VC in Italia a 29 anni, una exit da 400 milioni, raccogliere quasi 50 milioni tra due startup biotech e vincere #SIOS19 con Genenta Science
Come si fa a diventare il fondatore della migliore startup italiana votata da 100 tra i maggiori investitori, giornalisti e influencer dell’innovazione in Italia?
Permettimi, non si diventa ma si nasce! Ovvero, occupandomi sempre di più di scienza pur avendo una formazione finanziaria credo che siamo molto più condizionati da ciò che siamo (patrimonio genetico) rispetto a ciò che possiamo diventare (ambiente e training). Ma non la prendo troppo alla lontana… Per darti una risposta, ti dico che è un percorso lungo e accidentato dove devi avere quella leggerezza che ti permette di vedere sempre la meta là lontana anche quando tutto intorno c’è confusione e distrazione.
Penso che in Italia dell’innovazione non frega niente a nessuno, non porta voti essendo paese di dipendenti pubblici e pensionati. Quindi non mi tiro mai indietro quando vedo qualche cosa che non va. Come ad esempio la scandalosa gestione di ITAtech, soldi pubblici italiani andati in gestione a fondi di VC esteri.
Monty era già Monty al liceo? 🙂 Che università hai fatto e pensavi già di aprire una tua società dopo?
Monty era Monty anche alle medie, quanto parlava! Ma parlava bene, era in grado di tenere banco per tutta l’ora di Italiano evitando che quel prof. faziosetto e polemico trovasse il tempo per interrogare. (non dovrebbe esserci bisogno di scriverlo, ma Monty, come il sottoscritto, non vota la migliore startup, ndd)
Ho fatto Economia in Cattolica, quindi una bella soddisfazione ricevere il premio in Aula Magna dalle Bocconi ? Avevo più il mito della finanza che dell’imprenditoria essendo cresciuto con Wall Street di Oliver Stone. Ho sempre però fatto entrambe le cose, mentre ero trader avevo la mia startup, Jobadvisor. Diciamo che mi diverto in entrambi i ruoli, forse pendo più per imprenditoria però. Di sicuro sono stato tra i dipendenti peggiori nella storia. Mi sono liberato in fretta delle catene.
Genenta non è la tua prima startup. in precedenza sei stato Consigliere di EOS (vincitrice peraltro del primo Open Summit nel 2015) con un’exit record da 400 milioni. Forse la più grande mai fatta in Italia ancora oggi. Ci racconti che cosa era EOS e che ruolo hai avuto? Ma soprattutto come si mantengono le motivazioni dopo un’exit del genere?
A 29 anni ero CEO e fondatore di Quantica SGR (oggi Principia SGR), siamo stati i primi VC italiani partiti dopo il deserto nucleare conseguente allo scoppio della bolla .com. Capimmo in fretta che il deal migliori italiani arrivavano dal Life Science. Finanziammo anche Banzai ma la fortuna la trovammo nel biotech. In EOS abbiamo investito e io sono entrato nel Board. La exit è stata sufficiente per ripagare il nostro fondo! EOS si occupava di oncologia, come Genenta oggi. Per me è stato naturale appassionarmi alla scienza alla base di Genenta. ANon potevo non provarci ancora. Questa volta come imprenditore però.
Ma sbaglio o nel 2015 eri già sul palco di SIOS?
Quest’anno abbiamo vinto, ma siamo stati sul palco tra le 10 finaliste due volte a SIOS. Sempre con premio speciale. Nel 2018 sono stato tra le 10 finaliste con Altheia (cura per malattie autoimmuni), dove sono co-founder e siedo nel board senza ruolo esecutivo. Insomma, come mi è capitato già molte volte, non è alla prima che si passa…ci vogliono persistenza e consistenza.
Fondata insieme all’Ospedale San Raffaele di Milano (OSR), dal prof. Luigi Naldini, Direttore dell’Istituto San Raffaele-Telethon per la Terapia Genica (SR-TIGET) e dal dr. Bernhard Gentner, Ematologo e Ricercatore all’OSR e presso SR-TIGET. E’ anche insomma una grande storia di open innovation, con un’eccellenza com OSR. Questi partner così blasonati sono stati davvero un acceleratore? E’ stato facile convincerli? Sono ancora con te oggi?
Genenta esiste perché Luigi Naldini per più di 20 anni è stato (ed è ancora!) uno dei 5 maggiori esperti mondiali nella terapie genica. Un monumento per i risultati ottenuti su malattie rare. Da tutto il mondo vengono bambini a curarsi al San Raffaele da malattie che prima erano mortali. Ci sarà un nobel per la terapia genica prima o poi, attediamo… Genenta è potuta andare veloce perché è spin-off di San Raffaele che è anche socio fondatore. Genenta è nel campus e gode dell’accesso a ricercatori, laboratori e ospedale. Il team vede il contributo essenziale di Bernhard, scienziato e ematologo, e ha avuto l’importante innesto di Carlo Russo, dal 2017 basato a New York, nostro Chief Medical Officer e Head of Development. Genenta ha ufficio a New York dal 2017.
Hai fatto i primi round di finanziamento quando in Italia si investivano poco più di 100 milioni l’anno in totale. Chi ha creduto in voi?
Abbiamo chiuso il primo round nel marzo 2015 grazie a supporto di Mediobanca, nostro advisor, per i primi 10 milioni di Euro. Poi nel 2017 sono arrivati altri 7 milioni con l’ingresso di Rovati, già proprietario di Rottapharm e il family office di Ferragamo. Infine, quest’anno altri 15 milioni sono stati investiti da Qianzhan Investments (fondo cinese già investitore di Tencent Music) insieme alla famiglia Fumagalli di Candy e la famiglia Bormioli.
E quale è oggi la vostra valutazione?
E’ dato undisclosed (segreto, ndd) , come si può immaginare dal momento che siamo in sperimentazione clinica, riflette lo stato di avanzamento e i tre round. La nostra valutazione è importante e, giustamente, fa venire qualche vertigine sia al sottoscritto che ai co-founder. Però, statistiche e studi alla mano, è del 30-40% a sconto rispetto ai competitor USA al nostro stadio di sviluppo e che hanno raccolto capitali come i nostri.
Una terapia genica basata sull’ingegnerizzazione delle cellule staminali del sangue per il trattamento dei tumori. Come si spiega Genenta a chi non ha un PhD in LifeScience come te? Che impatto ha sulle nostre vite?
Per farla semplice, armiamo le cellule del sistema immunitario per combattere il cancro. Ingegnerizziamo le cellule staminali del sangue, le mamme di tutti i globuli bianchi che ci difendono da tutto e dovrebbero farlo anche dai tumori, tramite un vettore virale che integra nel DNA una proteina anti-tumorale. Questi globuli bianchi, monociti e macrofagi, infiltrano il tumore e questa volta sono armati per interferire nello sviluppo delle cellule malate e sono in grado di richiamarne altre in rinforzo.
Il nostro approccio potrebbe valere per vari tumori. Siamo una piattaforma. Abbiamo esperimenti per cancro al colon retto, metastasi al fegato, polmone. Per ora siamo su pazienti su due indicazioni, Glioblastoma (cervello) e Mieloma (sangue).
C’è stato un momento in cui hai detto “Ma chi me lo ha fatto fare?”
No, mi sono sempre detto “pensa se non lo avessi fatto!!”
The Economist aveva definito nel 2014 il lavoro di Genenta Science «una fiction scientifica che sta diventando un fatto» come si fa a non montarsi la testa e anzi, fondare anche Altheia? A proposito ci racconti anche lei? Il tuo ruole e a che punto è ?
Dal momento che ingegnerizziamo cellule e integriamo il DNA, sa di film della fantascienza. Ma da luglio trattiamo pazienti. C’è ben poco di fiction, sono le terapie avanzate che stanno cambiando il modo di affrontare la patologie. Si tratta di tecnologia. Anche Altheia lavora sulle cellule staminali del sangue, questa volta, verificata la mancanza di un gene, le cellule vengono modificate per esprimere il gene mancante. Così Altheia punta a trattare patologie auto-immuni come il diabete di tipo uno e la sclerosi multipla. Ho co-fondato Altheia che ha raccolto ben 17 milioni di euro nel primo round!”
Il biotech batte ogni record. Nel mondo il fatturato è cresciuto in un anno del 24% arrivando a 123 miliardi di dollari. Solo in Italia è superiore agli 11,5 miliardi di euro con 13.000 addetti. A parlare con te questo settore sembra il più promettente, l’unico di cui quando anche io sono in giro per il mondo l’Italia è riconosciuta come Paese autorevole per dire, eppure ci sono pochissime startup. Ci ricordi i numeri di questa industria nel mondo e in Italia?
La ricerca scientifica italiana ha grande tradizione, il biotech si sviluppa su ottima ricerca di cui il Paese è pieno. Manca però totalmente cultura imprenditoriale nelle università e negli IRCCS, specchio di un problema Paese. Se la scienza incontra l’imprenditore si raccolgono tutti i capitali necessari per fare l’impresa, anche in Italia. Il biotech è high tech mentre vedo molti fondi di VC italiani e investitori privati che inseguono imprese no tech o low tech. Le exit maggiori in Italia arrivano dal biotech: EOS (che ha vinto SIOS15, ndd), Advanced Accellerator Applications, Intercept, Okairos hanno creato valore ben oltre 10 miliardi di Euro. Startup come Silk Biomaterials, Wise, GreenBone, hanno raccolto molto bene e stanno già trattando pazienti.
E voi? I prossimi passi per Genenta saranno?
Dopo uno straordinario 2019 con il closing del terzo round, l’avvio della sperimentazione su pazienti e vari premi di cui l’ultimo a #SIOS19, puntiamo nel 2020 ad accelerare la fase clinica ed aumentare il numero di pazienti trattati. Ciò per raccogliere dati di sicurezza, tollerabilità e speriamo di prima efficacia della nostra terapia. La nostra vittoria è l’impatto sul paziente, la conseguenza sarà la valorizzazione del nostro lavoro. Le startup nel nostro settore hanno un ciclo di vita di almeno 5-6 anni, difficile pensare ad una exit prima del 2022.