Il Sol Levante ha sconfitto la pandemia senza chiusure. Solo mascherine e distanziamento sociale. Per l’OMS è un modello da seguire
Da Tokyo, attraverso le webcam, arrivano nuovamente immagini di una normalità che a un occidentale pare ancora oggi aliena e destabilizzante. Da 24 ore, il Giappone è ufficialmente fuori dallo stato di emergenza. Una emergenza che, come avevamo sottolineato più e più volte, non ha mai comportato né lockdown né app per il tracciamento o piani di tamponi. Eppure il Giappone è uscito pagando un costo in termini di vite umane ampiamente più modesto rispetto ad altri Paesi, tanto da essere stato persino elogiato dall’Organizzazione mondiale della Sanità. Come ha fatto?
Nell’esatto momento in cui il premier giapponese Shinzo Abe dichiarava la fine dello stato di emergenza, in Giappone si contavano 16.632 casi di Coronavirus e 851 morti legati alla pandemia. In Italia purtroppo il Covid ha infettato non meno di 230mila persone e ne ha uccise oltre 32.800.
Per questo l’OMS ha definito “un successo” gli sforzi del governo giapponese per fronteggiare la crisi sanitaria del coronavirus. Il direttore dell’organismo, Tedros Adhanom Ghebreyesus, in genere molto scettico e cauto di fronte alle riaperture dei governi, ha invece elogiato il lavoro svolto dal premier nipponico Shinzo Abe e quello di tutte le prefetture dell’arcipelago.
Ghebreyesus ha ricordato come il Giappone all’inizio abbia visto una progressione di circa 700 casi di contagi su base giornaliera all’apice della pandemia, e come quel numero si sia ridotto a 40. Il presidente dell’OMS ha inoltre ricordato i meriti del Paese nel contenere il numero delle vittime. Ghebreyesus ha comunque esortato Tokyo a continuare a seguire le regole precauzionali malgrado l’allentamento delle disposizioni restrittive appena deciso. Il Direttore esecutivo della OMS, Michael Ryan, ha avvertito che una seconda ondata di contagi potrebbe avvenire in molti Paesi a distanza di diversi mesi.
Le critiche rivolte a Shinzo Abe
Eppure, soprattutto in patria, il premier Shinzo Abe era stato aspramente criticato, tanto dalle opposizioni quanto da noti scienziati, per il suo attendismo e per avere posticipato il più possibile la dichiarazione dello stato di emergenza anche nel tentativo, dicono, di salvare le Olimpiadi di Tokyo 2020 (che adesso rischiano di saltare persino l’anno prossimo).
In totale, lo stato di emergenza, è durato dal 7 aprile scorso al 25 maggio. E non ha mai comportato veri e propri lock down e quarantene come quelle conosciute da noi. Solo generiche raccomandazioni a restare a casa, uscire con la mascherina e a mantenere il distanziamento sociale. La sola decisione forte in tal senso è stata la chiusura delle scuole decretata all’inizio dell’anno, appena il contagio è esploso in Cina. Cancellati anche diversi spettacoli, ma molti, come i tornei di kendo e di sumo, si sono comunque tenuti. Anche l’hanami, il tradizionale pic nic sotto i ciliegi in fiore per festeggiare la primavera, ha avuto luogo come al solito.
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Il 60% dei giapponesi è andato al lavoro
In realtà, la maggior parte dei cittadini nipponici ha continuato con la vita di sempre. Al governo non piace ammetterlo, ma girano statistiche secondo le quali più della metà della popolazione (per la precisione, almeno il 60%), sarebbe comunque andata a lavorare. Questo nonostante gli inviti dell’esecutivo centrale a restare a casa.
Inviti, sì, perché l’esecutivo di Shinzo Abe non ha potuto o comunque non ha voluto imporre lock down all’italiana, dichiarando che la decisione di optare per misure più stringenti sarebbe comunque spettata alle singole prefetture, che a loro volta – si dice per motivi elettorali – hanno preferito evitare vere e proprie imposizioni. Il buon senso dei giapponesi, che hanno da subito messo la mascherina (per loro, del resto, è quasi una tradizione) e aumentato il diradamento sociale, sembra avere fatto il resto, perché veri e propri picchi epidemici non sono mai stati registrati, questo nonostante il maggior focolaio si sia verificato proprio a Tokyo, la cui area urbana conta oltre 30 milioni di individui e adesso si è già rimessa in moto.
E c’è già chi ha riaperto da quasi un mese
In realtà Tokyo e le altre prefetture a rischio erano tornate a ripopolarsi già nella prima settimana del mese. Il 7 maggio aveva deciso di riaprire i suoi 48 negozi in tutto il Giappone la catena di abbigliamento Uniqlo, tra questi diversi store anche nella capitale e a Osaka, qualche giorno dopo era stato il turno di Aeon, il più grande operatore di supermercati della regione, a riaprire gli Aeon Mall. E da oggi il Giappone si appresta a vivere già una sorta di Fase 3. Tutto questo in fretta, senza clamore mediatico e battaglie politiche, senza decisioni che hanno inciso eccessivamente sull’economia, senza puntare eccessivamente né sull’app (che ha subito svariati ritardi) e nemmeno sui tamponi. Ma con un’unica task force scientifica che ha affiancato il premier. Sembra incredibile ma il Paese con la popolazione più vecchia al mondo, e dunque pure il più esposto, ha vinto la pandemia semplicemente con le mascherine e mantenendo il distanziamento sociale.