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Intervista ad Annalisa Scopinaro, Presidente di UNIAMO Federazione Italiana Malattie Rare, a margine della seconda tappa del progetto “Biotech, il futuro migliore – Per la nostra salute, per il nostro ambiente, per l’Italia” promosso da Assobiotec Federchimica in partnership con StartupItalia
“Bisogna mettersi insieme attorno a un tavolo e chiedersi come proseguire dopo la fase più acuta di questa pandemia. Facciamo tutti un passo indietro rispetto a quelle che fino a oggi erano le nostre convinzioni, per cercare di fare un passo avanti come Paese, che possa portarci a quel virtuosismo di cui siamo capaci, perché abbiamo le menti, le capacità e le risorse”. È la richiesta lanciata da Annalisa Scopinaro, Presidente di UNIAMO Federazione Italiana Malattie Rare, durante il tavolo di lavoro “Il viaggio del biofarmaco: dal laboratorio al paziente”, che è si tenuto lo scorso 13 luglio e ha costituito la seconda tappa del progetto “Biotech, il futuro migliore – Per la nostra salute, per il nostro ambiente, per l’Italia”, promosso da Assobiotec Federchimica in partnership con StartupItalia. Il progetto, tra giugno e ottobre, prevede quattro appuntamenti preparatori a un grande evento finale, il 9 novembre 2020, che diventerà l’occasione per presentare un Manifesto e, soprattutto, un Documento di Posizione, con proposte operative per la crescita e lo sviluppo del settore, per le imprese e per il Paese, da mettere a disposizione del Governo.
Al secondo tavolo di lavoro hanno preso parte oltre 30 esperti – tra associati di Assobiotec, stakeholder e istituzioni – che hanno avviato una riflessione condivisa su ciò che serve al settore delle Scienze della Vita per la crescita del comparto, ma soprattutto per favorire ulteriormente il miglioramento della salute delle persone e la competitività del Paese. Il quadro che ne è emerso è stato poi rappresentato nell’infografica che trovate qui sotto, realizzata dall’illustratrice Irene Coletto. “Io parlo da una posizione privilegiata, perché ci occupiamo di malattie rare (una malattia è considerata “rara” quando presenta una bassa prevalenza ovvero colpisce non più di 5 persone ogni 10.000 abitanti, ndr)”, sottolinea Scopinaro a StartupItalia.
SI: Presidente Scopinaro, perché privilegiata?
“Innanzitutto, copriamo tutti i tipi di disabilità e abbiamo acquisito una competenza trasversale rispetto a tutte quelle che sono le necessità espresse dalle persone che hanno una malattia rara. Abbiamo costruito una rete che, nonostante le criticità dovute alla pandemia, ci ha fatto sentire meno soli, aiutandoci ad affrontare la crisi. Una rete e un modo di lavorare che potrebbero rappresentare un modello per soddisfare i bisogni di assistenza di tutti i cittadini, soprattutto in questo frangente storico”.
SI: Che intende?
“Come ho sottolineato nel VI Rapporto annuale sulla condizione delle persone con malattia rara in Italia, ‘MonitoRare’, se la rete per le rare fosse stata sviluppata e potenziata in maniera tale da garantire un’effettiva presa in carico delle persone, il nuovo coronavirus non ci avrebbe trovati impreparati: avremmo avuto dei modelli a cui attingere, sistemi funzionanti che sarebbero stati di aiuto non solo alle persone con malattia rara ma a tutta la cittadinanza. Non è un caso che, laddove le buone prassi esistono e sono state applicate, la pandemia abbia avuto un impatto minore”.
SI: Ecco, parliamo proprio dell’impatto della pandemia sulla comunità dei malati rari.
“In questi mesi di Covid-19 abbiamo registrato l’accelerazione di molti dei processi che la comunità dei rari si auspicava: terapie domiciliari, teleassistenza e telemedicina, dematerializzazione delle ricette, consegna dei farmaci a casa e prolungamento dei piani terapeutici senza la necessità di recarsi dal medico. Allo stesso tempo, il sistema ha messo in luce anche le tante carenze che andiamo denunciando da tempo. Ci siamo sentiti molto abbandonati. I malati rari scontano il fatto che spesso vengono presi in carico da centri di competenza anche molto distanti dal proprio domicilio. Quindi, la chiusura delle frontiere fra le regioni e la trasformazione dei centri di competenza in centri Covid hanno comportato l’impossibilità di effettuare i follow up periodici e, a volte, la stessa sospensione delle terapie. Inoltre, come abbiamo dimostrato con l’indagine svolta in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) – una survey a cui hanno risposto circa 1200 persone con malattia rara – alcuni pazienti hanno rinunciato alle terapie per la paura di andare in ospedale e contrarre il virus, vista anche la loro condizione di fragilità. È venuta meno anche tutta l’assistenza sociosanitaria, sia a livello domiciliare che nei centri diurni, aggravando in modo esponenziale il carico per le famiglie, che non hanno avuto alcuna considerazione quando si è trattato di distribuire dei fondi”.
SI: Presidente, il Ministro della Salute, durante la presentazione del Rapporto MonitoRARE 2020, ha dichiarato che “dobbiamo trasformare questa crisi in opportunità, imparare dalla lezione che ci è arrivata”, sottolineando la necessità di ricominciare a investire sul Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Per lei da dove bisognerebbe ripartire, pensando ai bisogni dei malati rari?
“Dalla volontà di fare rete, per arrivare sempre di più a soluzioni condivise dei problemi. Bisogna far parlare intorno allo stesso tavolo interlocutori provenienti da istituzioni diverse, perché questo aiuta a trovare una lingua comune e a lavorare nella stessa direzione, così non si corre il rischio di duplicare le iniziative e soprattutto non si vanno a sprecare risorse. Poi è necessaria una riorganizzazione dei servizi, che comprenda la medicina territoriale, in questi anni marginalizzata rispetto all’importanza dei centri di competenza. Al riguardo, io auspico un maggiore collegamento tra il territorio e questi centri, con un rafforzamento di tutta la rete anche attraverso gli strumenti di teleassistenza. A questo, aggiungiamo anche un rafforzamento dell’assistenza sociosanitaria”.
SI: È necessario strutturare anche una collaborazione tra pubblico e privato?
“Durante questo tempo di Covid-19 le aziende farmaceutiche hanno realizzato tutta una serie di iniziative a favore della cittadinanza – mettendo a disposizione soldi, farmaci, ausili e altre risorse – perché c’era un sistema-Italia da mandare avanti. Io credo che questa volontà di contribuire a quello che è il benessere del nostro Paese non vada sottovalutata e che, anzi, debba essere valorizzata, tenendo ben presente la distinzione tra pubblico e privato, ma soprattutto che il settore pubblico non possa farsi carico di affrontare da solo questa sfida storica. Quindi, penso che la collaborazione pubblico-privato non vada demonizzata. Certo, va resa trasparente e regolamentata, ma senza mettergli i lacci: bisogna solo fare dei patti chiari, stabilendo le regole e i confini entro i quali si può collaborare e anche co-progettare insieme. Da questo punto di vista, è necessario un cambiamento culturale, perché in Italia siamo ancora legati a vecchie concezioni come ‘il privato è brutto, il pubblico è bello’”.
SI: Il nuovo Rapporto MonitoRARE 2020 ha ribadito la persistenza di disomogeneità territoriali nell’accesso ai servizi sanitari, sociosanitari e sociali, creando cittadini di serie A e cittadini di serie B. La vostra indagine ha rilevato un aumento di queste disuguaglianze negli ultimi mesi?
“Innanzitutto, non possiamo più accettare che ci siano 20 sistemi sanitari diversi per gestire la stessa malattia rara, così come ci siano modalità diverse – ad esempio, da parte dell’INPS – di valutare un malato a seconda del luogo in cui vive. Noi assistiamo a queste differenze tutti i giorni. Tuttavia, in questi mesi di Covid-19, le Regioni, almeno dal punto di vista dei malati rari, si sono mosse in modo abbastanza uniforme su tutto il territorio nazionale”.
SI: Il Rapporto sottolinea in maniera netta che “è ancora lunga la strada per garantire l’inclusione sociale delle persone con malattia rara”. Quali sono gli ostacoli che non consentono il pieno raggiungimento di questa inclusione?
“L’ostacolo principale è sempre la frammentazione. La sanità sì è regionalizzata, mentre per gli interventi socioassistenziali arriviamo fino ai Comuni. Quindi, c’è uno spezzettamento delle competenze, che crea delle enormi disparità. Abbiamo tante leggi, forse anche troppe, riguardo all’assistenza sociale: il problema risiede nel fatto che nella maggior parte dei casi non si trovano le risorse per poterle applicare, né esiste una concezione uniforme su come applicare queste leggi, per cui i modelli di assistenza rischiano veramente di moltiplicarsi per 8000, tanti quanti sono i Comuni italiani”.
SI: Riccardo Palmisano, Presidente Assobiotec Federchimica, ha parlato anche di terapie innovative nel corso del tavolo di lavoro. Come lei ha sottolineato, i malati rari sono i primi a essere interessati a questo tipo di terapie, aggiungendo che però comportano un cambio di paradigma all’interno del sistema sanitario nazionale. Approfondiamo questo aspetto.
“Le nuove terapie, in media, hanno dei costi importanti. Ma non è corretto fermarci a valutare solo il loro costo immediato: dobbiamo ragionare sul medio-lungo termine, andando a valutare i risparmi che possono derivare dalla loro applicazione. La questione economica deve essere ridimensionata, verificando l’incidenza dei costi delle terapie per i malati rari su base percentuale rispetto alla spesa sanitaria totale. Comunque, riguardo a questo aspetto, facciamo affidamento sulle dichiarazioni del Ministro della Salute, per cui la spesa in sanità non rappresenta un costo, ma un investimento: se, grazie a una terapia adeguata, riusciamo a far conquistare la salute a una persona malata, oltre a non essere più a carico del SSN per il resto della sua vita, questa persona potrà contribuire (o tornare a farlo) al benessere della società. Insomma, salvare una vita umana, che di per sé ha già un valore, o migliorare la qualità di vita di una persona malata, sotto il profilo economico, conviene a tutti”.
SI: Presidente, alla luce anche di questa pandemia, ora quali sono le priorità di UNIAMO?
“Oltre a quanto già detto, dobbiamo puntare alla diagnosi precoce, che passa dall’allargamento dello screening neonatale esteso (SNE) e per le persone adulte dalle terapie omiche, che possono aiutare a ridurre i tempi della diagnosi: a volte, si va anche oltre i 7 anni. Poi c’è la ricerca, che per noi è fondamentale: dobbiamo capire come collaborare con il Ministero dell’Università e della Ricerca e altre realtà, come Telethon e le industrie farmaceutiche, impegnate sulle malattie rare, per indirizzare la ricerca laddove c’è più bisogno. Ci aspettano, inoltre, tante terapie avanzate e innovative, per cui sarà necessario affrontare tutti insieme la questione della sostenibilità del sistema. Oltre a potenziare le terapie domiciliari, dobbiamo pensare a come implementare telemedicina e teleassistenza: a questo proposito, stiamo già iniziando a sviluppare delle forme di collaborazione con l’ISS. E non possiamo trascurare la scuola e le famiglie, andando a riconoscere il ruolo dei caregiver nel sostenere il SSN attraverso la loro opera quotidiana”.